Giancarlo Galeazzi, docente emerito di Filosofia all’istituto teologico marchigiano della Pontifica Università Lateranense
Dunque, il rapporto basato sul contatto fisico (tattile in particolare) va considerato insostituibile. E risulta complesso, come appare dalla dialettica tra esperienza del tangibile ed esperienza dell’intangibile che può essere intesa in un duplice modo. Il senso teologico, lo ha precisato P. Goujon, scrivendo nel citato saggio che “il tatto è sopraffatto dall’esperienza dell’intangibile”, tant’è che “i Vangeli rivelano ciò che, nelle nostre esistenze, è intangibile ed eccede l’esperienza del tatto come atto di afferrare (…). Dio tiene a noi senza trattenerci, come un Padre felice di vedere i suoi figli e le sue figlie seguire la propria vita”. Il senso antropologico, lo ha precisato il filosofo Maurice Merleau-Ponty, cui si è ricollegato recentemente il filosofo Aldo Masullo, il quale ha osservato che toccare un altro uomo è toccarne il corpo, sentirsi toccarlo, e tuttavia mai sentire il sentirsi toccato di lui, mai dunque toccare non il suo corpo ma lui stesso. Non si esiste, se non si sente di esistere, ma il sentirsi dell’altro mai io potrò sentirlo, così come nessun altro potrà sentire il mio sentirmi, come ha sottolineato Masullo, il quale ha definito il “sentir-si” come “arcisenso”, che è “l’intoccabile”: così nel libro L’arcisenso. Dialettica della solitudine (Quodlibet, Macerata 2018), dove scava dentro la solitudine, sapendo di ascoltare l’interiorità dell’altro senza potervi mai accedere; da qui la dialettica solitudine e solidarietà: siamo soli ma possiamo essere compagni, compagni di solitudine; possiamo condividere le nostre unicità; possiamo restare distanti ma insieme.
E, in effetti, la prossimità reclama vicinanza non meno che distanza, ha sottolineato un pensatore come Massimo Recalcati, psicoanalista lacaniano, autore tra l’altro di volumi come Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato (Feltrinelli, Milano 2018) in cui Recalcati, attingendo alla sua esperienza clinica, e alla interpretazione di figure come quelle di Edipo, Amleto, Isacco e soprattutto dell’anonimo figlio prodigo, insiste in particolare sulla possibilità che un figlio si ritrovi, e venga ritrovato. E l’abbraccio del padre appare l’espressione più forte di questo ritrovamento, ed è contatto coinvolgente ed avvolgente, dove le mani del genitore (così nel bel dipinto che Rembrandt gli dedica) sono una mano maschile e una mano femminile, di padre e di madre, di giustizia e di misericordia. Dalla scena rimane fuori il fratello “buono”, che guarda e osserva: per lui, che critica, non c’è tattilità di sorta: rimane spettatore, ed è estraneo alla gioia che il padre manifesta e che concretizza in gesti (dall’abbraccio al pranzo) che sono ricchi di fisicità, e permettono al figlio prodigo di tornare a casa, di sentirsi a casa.