Maurizio Pasetti, scrittore e sceneggiatore
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Una persona priva della vista o gravemente ipovedente può utilizzare il linguaggio audiovisivo per comunicare il proprio rapporto con il mondo ed esprimere poeticamente il proprio universo interiore contribuendo, grazie alla sua specificità percettiva, ad una innovazione prospettica sia nella strutturazione del linguaggio audiovisivo, sia negli aspetti operativi e applicativi del linguaggio stesso.
Questa affermazione che può apparire paradossale, se non addirittura assurda, è frutto di un’esperienza reale e concreta vissuta, sviluppata e praticata in oltre dieci anni di attività dell’associazione e società di produzione di cui faccio parte.
La mia formazione nell’ambito cinematografico è iniziata da vedente nel 1989 frequentando IpotesiCinema fondata a Bassano del Grappa da Ermanno Olmi.
Ciò che rendeva differente quel laboratorio rispetto alle scuole di cinema tradizionali erano sostanzialmente l’attenzione assoluta dedicata all’ascolto della realtà in tutte le sue manifestazioni e la pratica concreta del Cinema nel senso che, come veniva ripetuto spesso, il Cinema si impara vivendo. Queste pratiche hanno portato, attraverso il lavoro di centinaia di partecipanti che giungevano da tutta Italia, alla definizione di un metodo denominato “Postazione per la Memoria” (PpM). Per poter raccontare in modo originale ed autentico, è necessario avere l’umiltà e l’intelligenza di osservare la realtà con tutti i sensi ed elaborarla successivamente solo dopo averla compresa senza pregiudizi e presunzione.
La Postazione per la Memoria consiste in una tecnica di realizzazione cinematografica che azzera le dottrine semiologiche precostituite.
L’esplorazione della realtà aderisce ai tempi naturali dello sguardo, avviene tramite l’ascolto profondo della realtà e attraverso un esame accurato ed attento del materiale ripreso, dal quale si estraggono delle sequenze significative ed emblematiche.
La consapevolezza acquisita attraverso questa osservazione rende possibile un’interazione stretta con il mondo osservato e costituisce il presupposto per la Tecnica dell’Ascolto Condiviso (TAC). Per mezzo di questa tecnica l’osservatore entra in relazione in modo dichiarato e penetrante con l’esistente, instaurando con esso una reciprocità di intenti ed emozioni.
Questo approccio empatico fa sì che l’interazione tra autore e realtà restituisca forme di narrazione molto significative.
Gli anni passati ad IpotesiCinema mi hanno consentito di apprendere, grazie soprattutto alla filosofia sperimentale che la ispirava, varie competenze riguardanti non solo il linguaggio cinematografico ma anche la vita di un set e le innumerevoli mansioni che la rendono possibile: dall’assistenza al macchinista o agli elettricisti all’importante lavoro di aiuto regia.
Inoltre ho potuto conoscere a fondo il montaggio in pellicola nella classica moviola che ormai, con l’avvento del digitale, è finita nei musei di archeologia industriale rimuovendo l’importanza della manualità e della tattilità indispensabili allo svolgimento del lavoro.
Durante questo processo di apprendimento ho avuto l’opportunità di realizzare, seguendo le metodologie di cui ho parlato, film di fiction e documentari. Ne cito tre ai quali sono particolarmente affezionato. “L’intero giorno sento rumore di acque” girato a Trieste nell’hangar 26 del Porto Vecchio in cui erano conservate le masserizie dei profughi istriani costretti all’esodo dalle controverse vicende della Seconda Guerra mondiale in quei territori; “Silvia” che tratta del difficile rapporto tra figlia e madre in una località di montagna dove lavoro e desiderio di riscatto procurano tensioni e sofferenze alle persone nel quadro dell’impoverimento e dello spopolamento di quelle aree; “Camuni” un documentario sulle attività di due pastori dell’alta Valle Camonica che alle soglie del terzo millennio praticano l’alpeggio seguendo riti, tempi e modalità dell’antico metodo.
La comunicazione audiovisiva che passa attraverso le metodologie presentate consente a ciascuno, “normodotato e diversamente abile”, di ricercare la propria “voce” e permettono alle persone di trovare l’espressività nella specificità della propria condizione percettiva.
Nel video collegato al link seguente, “Saper ascoltare”, racconto come si sia passati, dall’esperienza di IpotesiCinema, alla metodologia della Postazione per la Memoria e alla Tecnica dell’Ascolto Condiviso, da cui abbiamo elaborato la Video Alfabetizzazione Multisensoriale di cui scriverò in seguito. Al centro di tutto, l’ASCOLTO https://www.youtube.com/watch?v=P_uoLQdPIPU
Conclusa l’esperienza fondamentale di IpotesiCinema la ricerca e la sperimentazione sul linguaggio audiovisivo cinematografico sono proseguite attraverso le attività di Kineo e Kineofilm con il regista padovano Rodolfo Bisatti e nel tempo con altri preziosi collaboratori.
L’anno decisivo per la svolta “multisensoriale” delle nostre ricerche è stato il 2010, anno in cui abbiamo realizzato il film “Voci nel buio” di Rodolfo Bisatti a cui ho partecipato con il ruolo di co-sceneggiatore ed aiuto regista.
Questo film è una “storia di guerre”: una rievocata, quella avvenuta nella ex Jugoslavia, l’altra interna vissuta nel presente quotidiano nel monolito di cemento armato di Rozzol Melara a Trieste. Qui Angelo, ex professore universitario fondatore di un’associazione di solidarietà con i profughi jugoslavi negli anni delle guerre balcaniche, ha deciso di abbandonare professione ed impegni da quando suo figlio Giovanni a quattro anni ha perso la vista in seguito a una grave patologia. Giovanni è ora un adolescente intelligente e intraprendente ma che soffre per i rimorsi mai risolti del padre, il quale non riesce a comunicare con lui.
Giovanni è interpretato da un ragazzo veramente privo della vista, Giuseppe Cocevari di Trieste. Nella nostra sceneggiatura avevamo pensato che Giovanni, per cercare di entrare in comunicazione con il padre (che lavora di notte e dorme di giorno), registrasse degli audio per raccontargli le sue esperienze a scuola, in palestra, a lezione di pianoforte e le sue avventure con un’amica. Ma fu Giuseppe a sorprenderci suggerendo che avrebbe preferito usare una videocamera dal momento che lui già la usava.
Questa illuminazione ha fatto sì che cominciassimo a ragionare intorno alla possibilità di organizzare dei laboratori in cui la cosiddetta disabilità diventasse stimolo e prospettiva per un avanzamento significativo ed innovativo del linguaggio audiovisivo.
In seguito a queste esperienze molto significative ed entusiasmanti, sia nelle relazioni costruite col gruppo, sia negli esiti operativi ottenuti, abbiamo ampliato ed esteso l’applicazione della PpM e della TAC definendo un terzo percorso di ricerca: la Video Alfabetizzazione Multisensoriale (VAM).
La denominazione di Video Alfabetizzazione Multisensoriale indica che si lavora per apprendere i fondamenti del linguaggio cinematografico ed audiovisivo attraverso le sensorialità di cui disponiamo.
I vari codici di cui questo linguaggio è costituito, quello visivo, quello acustico, quello mimico-gestuale e corporeo, quello della lingua, quello ritmico, quello psicologico, sono studiati, interpretati, elaborati per mezzo delle singolarità percettive di ciascuno.
Il non vedente plasmerà i codici che costituiscono il linguaggio cinematografico andando oltre la privazione del codice visivo e così farà chiunque abbia una privazione sensoriale (udito, movimento o altro).
Soprattutto non è nuova, anzi: sta ancorata nell’antico.
Potremmo dire che è un CODICE.
Codice viene da “tronco d’albero” e noi pensiamo che la VAM sia molto vicina a questo significato originario.
Codice come è codice quello genetico, il codice di una lingua, il codice macchina e per noi anche e soprattutto, per citare James Hillman, il codice dell’anima.
Un codice è il tramite condiviso che connette parlante e ascoltatore.
Il nostro codice ha come riferimento cruciale la persona e le relazioni complesse e articolate che essa allaccia nella società.
Ci interessa la Persona nella sua qualità integrale.
Nella VAM le differenze e le diversità che si riscontrano nelle e fra le persone sono indagate e valutate in quanto unicità e specificità, come ricchezze e opportunità che una comunità ha la necessità di accogliere, considerare, conoscere e utilizzare al meglio, se non vuole disintegrarsi definitivamente. Molte delle indicazioni e notizie fin qui riportate, sono tratte da “VAM video alfabetizzazione multisensoriale istruzioni per l’uso” di Kineo team.
La VAM è un laboratorio multimediale e multisensoriale che contamina tutte le tecniche artistiche disponibili, dall’audiovisivo al teatro attraverso happening, poesia, pittura, ambienti sonori, scrittura,musica, arti digitali, fotografia.
Se nel gruppo c’è un non vedente e la VAM s’indirizza verso la scrittura di una sceneggiatura, il suo particolare apporto sarà estremamente utile perché le descrizioni dello spazio e del gesto assumeranno una forma necessaria e pregna di senso.
Facciamo un esempio.
Durante uno dei laboratori organizzati a Trieste è stato richiesto ai partecipanti di ricordare gli aspetti sensoriali di alcune esperienze vissute durante l’infanzia. Nicola, un giovane non vedente privo della vista dalla nascita ha dato un contributo notevole descrivendo in questo modo l’aula e il suo banco di scuola: “Era una stanza dalle pareti altissime che puzzava di muschio, non di muffa e per questo non era così sgradevole. Sentivo con i polpastrelli le venature usurate dello scranno in cima al banco, seguivo con le dita i segni incisi negli anni sul legno dalle punte delle Bic…”.
Mentre la società spesso considera le diverse specificità percettive come anomalie da curare, noi le consideriamo come elementi preziosi e fondamentali per la riuscita del processo formativo, introspettivo ed artistico.
La VAM è coerente con lo spirito della Carta dei diritti alla comunicazione adottata all’unanimità a Parigi durante la 31esima sessione della Conferenza Generale dell’UNESCO, il 2 novembre 2001. Nello stesso anno, con nostra grande soddisfazione, il metodo VAM ha ottenuto il patrocinio dell’UNESCO come uno dei più avanzati sistemi di sviluppo della democrazia digitale.
I laboratori condotti con persone non vedenti, audiolese, bambini autistici
o non alfabetizzati, ci hanno dimostrato l’importanza strategica della mediazione audiovisiva VAM nei processi di interazione sociale e linguistica. Le attività prevedono infatti un lavoro unitamente indirizzato a persone “normodotate e disabili”.
Nel processo di elaborazione di questa metodologia, che man mano trova nei laboratori VAM il suo arricchimento e l’affinamento delle proprie pratiche, si inserisce la mia personale esperienza.
A partire dal 2015 la miopia, di cui sono sempre stato affetto, ha subìto un aggravamento inaspettato e rapido portandomi gradualmente all’attuale ipovisione con un residuo visivo bassissimo. È ovvio che i primi tempi sono stati segnati da depressione e dunque dalla sensazione che tutto ciò che avevo costruito, soprattutto nell’ambito dell’insegnamento e delle attività cinematografiche, fosse irrimediabilmente crollato.
In questa fase durissima in realtà tutti i rapporti interpersonali e le attività costruite nel tempo a partire da quel 2010, si sono rivelate decisive per la mia risalita, ma soprattutto per comprendere quale potessero essere concretamente il mio ruolo e la mia posizione al loro interno.
In sostanza era necessario passare dalla conoscenza teorica, pur sentita, della privazione della vista di cui soffrivano i partecipanti ai nostri laboratori, all’esperienza diretta in prima persona di ciò che significa vivere quella condizione.
Tutto ciò che nei laboratori VAM avevo appreso attraverso le informazioni restituite dal gruppo durante le attività, in particolare i feedback che venivano dalle persone non vedenti, ha costituito il patrimonio di dati sensoriali ed emotivi fondamentali per permettermi di continuare nell’attività del lavoro audiovisivo.
Mi sono trovato quindi a ricoprire contemporaneamente il ruolo di docente e di allievo allacciando con le persone non vedenti un rapporto empatico ed una sorta di “complicità percettiva”.
Questo bagaglio si è poi rivelato prezioso anche nello svolgimento di corsi o seminari rivolti a insegnanti, operatori sociali o professionisti del mondo della comunicazione che non presentavano specifiche disabilità.
La mia attività di sceneggiatore, che mi sembrava dovesse impoverirsi a causa del mio deficit, ha trovato negli altri sensi a mia disposizione e in particolare nella tattilità e nell’udito un potente strumento di affinamento della capacità descrittiva.
Progressivamente nei testi che ho scritto ho cercato di restituire quello che “vedevo” attraverso quello che toccavo e udivo. Le immagini acustiche e tattili definivano un nuovo “punto di vista” di ciò che andavo raccontando.
Nell’ultima esperienza cinematografica, nel 2018, con il film di Rodolfo Bisatti “Al Dio Ignoto” il mio contributo di co-sceneggiatore si è espresso attraverso l’applicazione delle mie specifiche esperienze percettive.
Posso dare a titolo di esempio una scena molto importante del film, nella quale è risultato significativo pescare nella mia memoria tattile dell’infanzia. All’inizio del film la protagonista scava una buca nel giardino di casa per seppellirvi una torta guarnita con sedici candeline. Questo gesto apparentemente insensato è collegato ad un evento drammatico da lei vissuto anni prima. Dopo aver calato la torta nella fossa ho suggerito che fosse ricoperta non utilizzando il badile, ma riempiendola delicatamente prendendo le zolle con le mani. Molti spettatori ci hanno comunicato che in quel momento percepivano quasi fisicamente l’odore dell’erba, l’umido della terra che sporcava le mani della protagonista.
L’altro aspetto che è particolarmente importante per quanto riguarda il linguaggio cinematografico è quello della sfera sonora a cui da sempre ho dedicato un interesse ed un’attenzione specifici. Dopo la perdita della vista approfondire il mondo sonoro si è rivelato davvero decisivo. Proprio mentre si preparava il film “Al Dio Ignoto” ho avuto l’occasione di riscoprire, grazie all’incontro con il Professor Angelo Farina, ordinario di Fisica ed Acustica applicata all’Università di Parma, l’Ambisonica, una tecnica di registrazione conosciuta già dagli anni ’70, ma solo da qualche anno tornata all’attenzione di musicisti, fonici e professionisti del Cinema.
L’Ambisonica si avvale di strumenti che registrano alla fonte il suono a 360° restituendo in modo diretto e naturale la spazialità dei suoni stessi.
Un ulteriore sviluppo della sperimentazione che sto portando avanti con la tecnica ambisonica è il progetto VAM-Camera AUscura che con Kineo vogliamo proporre a musei, mostre e gallerie d’arte, licei scientifici ed artistici.
VAM-Camera AUscura è una proposta di esperienza senso-percettiva che attiva un’introspezione creativa attraverso l’ascolto profondo stimolato da composizioni sonore specificamente studiate, diffuse all’interno di una camera obscura tecnicamente modificata.
Come conclusione di questo breve excursus posso dire che queste esperienze di progettazione e applicazione delle ricerche nell’ambito della Video Alfabetizzazione Multisensoriale mi hanno consentito non solo di elaborare il lutto della perdita della vista, ma anche di intraprendere un fecondo cammino verso altri orizzonti del linguaggio audiovisivo e cinematografico suggeriti dalla mia condizione percettiva attuale.