Simonetta Baroni – Cultore della materia in Arti visive del XXI secolo, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
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Differenti letture dell’oggetto artistico determinano sempre un nuovo sguardo: una continua riscrittura del testo visivo alla luce dell’intertestualità dell’opera.
L’intento è di attivare un’analisi ermeneutica dell’oggetto rivolta a costruire un passaggio di più significati, di più punti di vista, finalizzata ad alimentare una sua continua e costante interrogazione.
Le possibili visioni interpretative subiscono una significativa estensione cognitiva quando si affronta l’analisi dell’opera ponendo al centro la sua dimensione sensoriale, in particolare scegliendo di privilegiare, fra i processi estesiologici, quelli legati alla percezione tattile.
Per sperimentare questo nuovo approccio si è voluto scegliere tra la molteplicità e l’eterogeneità dei linguaggi contemporanei gli interventi urbani di Street Art. Infatti la “natura ibrida” di questa figurazione pittorica deriva, secondo Roland Barthes, dall’utilizzo di diversi codici, che, sebbene soggetti ad una continua e imprevedibile contaminazione semantica con implicazioni culturali, sociali e antropologiche, restano inalterati e disponibili al prelievo visivo. Questa peculiarità linguistica diventa un interessante banco di prova per misurare l’efficacia di una metodologia interpretativa che acquista un’ulteriore valenza comunicativa proprio nel tentativo di avvicinare le persone non vedenti a questa complessa realtà.
L’obiettivo primario però rimane quello di riuscire a coinvolgere un pubblico sempre più ampio, anche di passanti distratti e occasionali, affinché nessuno sia escluso dal condividere le trasformazioni degli spazi urbani, consentendo a tutti di vivere il nuovo volto della città, la cui “pelle” dipinta diventa il luogo del racconto su cui si intrecciano storie pubbliche e private.
Accanto ai problemi legati alla comunicazione del messaggio artistico bisogna anche considerare alcuni specifici ostacoli percettivi derivanti dalla fruizione dei murales, che obiettivamente, come sottolinea Aldo Grassini, in quanto opere pittoriche, sono un’esperienza estetica negata ai non vedenti, difficoltà accresciuta spesso anche dalle grandi dimensioni dei soggetti raffigurati, che campeggiano sulle facciate degli edifici. Le figure riprodotte su tavole tattili, gli elementi architettonici affidati a modellini e gli spazi urbani a planimetrie sono sicuramente un utile e valido aiuto per costruire un’immagine mentale dell’opera e del luogo che l’accoglie, ma fondamentale resta la loro descrizione sia orale che scritta, in cui, secondo Laura Scanu, è indispensabile “vedere correttamente, non solo attraverso l’occhio, ma soprattutto attraverso la mente le immagini”.
La vera esperienza estetica quindi si consuma nella comunicazione verbale attraverso il processo interpretativo affidato a un linguaggio metaforico e sinestetico, sperimentando una narrazione capace di conservare la vividezza espressiva dell’ekphrasis e di saper dosare il calore dell’emozione senza mai derogare dalla scientificità dei contenuti.
Queste considerazioni sono state utili per impostare la scheda tattile-descrittiva, che riprende come traccia i campi indicati nei programmi di catalogazione dell’ Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione per la schedatura delle opere d’arte contemporanea e alcune voci dalla scheda dei beni demoetnoantropologici “materiali”, aggiungendo infine alcuni indicazioni formali e storico-critiche presenti nella catalogazione digitalizzata del progetto Critic Art Data ideato da Eugenio Battisti nel 1989.
Bisogna sottolineare che alcuni “campi” indicati da Eugenio Battisti sono una importante guida per avviare la conoscenza dell’oggetto artistico attraverso un primo racconto formale, richiamandosi alla struttura compositiva gestaltica di Rudolf Arnheim.
La vera innovazione però è introdotta dalla voce “Origine”, che stabilisce un collegamento con le tracce mnemoniche dell’arte e delle sue più diverse manifestazioni, tratte sia dalla cultura alta che bassa e prelevate non solo dal mondo occidentale ma anche extraoccidentale: una visione globale inserita in un processo temporale circolare impostato soprattutto su un sistema di relazioni e scambi socioculturali. L’articolato linguaggio della Street Art “si apre a sistemi di relazione totale” creando “infinite connessioni dove i flussi estetici circolano liberamente”, afferma Germano Celant riferendosi alle ultime tendenze artistiche, ma che ben si adatta a descrivere questo fenomeno ora divenuto movimento artistico.
In questa prospettiva si annullano e si alterano le categorie estetiche tradizionali, così anche il concetto di bellezza, già estraneo all’arte del Novecento, si trasforma in uno dei tanti mezzi di comunicazione. La citazione di un’opera classica o moderna o di manifestazioni artistiche più recente si intreccia con la quotidianità delle immagini di pop star e rock star, di personaggi della cronaca e della politica e icone del mondo del cinema, diventando uno spunto di critica sociale per attivare riflessioni e domande a volte scottanti e anche scomode sull’attualità.
L’opera di Street Art può considerarsi un prodotto sociale, che pone il progetto relazionale alla base del processo creativo dell’artista. Quest’ultimo spesso preferisce conservare l’anonimato, e deroga dalla sua autorialità esclusiva dell’opera per condividerla con i fruitori-passanti, trasformanti in occasionali co-autori. Egli, nelle vesti di un etnografo, adotta il metodo della “osservazione partecipante”, che gli permette di avere un contatto diretto e continuativo con lo spazio urbano ed extraurbano e con i suoi abitanti così da poter conoscere dall’interno le diverse identità culturali. Per l’artista si tratta di un approccio che necessita di costruire un legame profondo con le realtà locali e di alimentare uno scambio improntato sulla reciproca fiducia, operazione sicuramente facilitata dalla condivisione di un linguaggio comune, l’arte.
Fondamentale diventa indagare l’interazione dell’artista con il luogo che accoglie l’opera: conoscere lo spazio fisico con i suoi insediamenti urbani, rurali e industriali, e gli edifici interessati dagli interventi pittorici, di cui, oltre a riportare le notizie storiche e le indicazioni architettoniche, si deve precisare l’uso e le eventuali riqualificazioni; imprescindibile è anche l’acquisizione di dati riguardo al contesto socio-culturale, recuperando la memoria storica e attuale della realtà territoriale attraverso testimonianze, orali e scritte, coinvolgendo direttamente gli abitanti.
Per raccogliere questa documentazione (interviste, racconti biografici, resoconti storici) le tecniche di rilevamento possono essere registrazioni audio e video, secondo un procedimento proprio dell’indagine etnoantropologica, che, applicata ai processi interpretativi delle opere d’arte, diventa una modalità di acquisizione di dati indispensabile per attivarne e moltiplicarne i significati. L’intervento pittorico non si conclude con la sua esecuzione, in quanto soggetto alle alterazioni causate dagli agenti atmosferici, ma anche da gesti spontanei di cancellazione, di riscrittura e da azioni vandaliche, è il risultato “effimero” di continue manipolazioni. Al riguardo sono esplicative le parole del noto street artista francese C215 che afferma: “Le opere che lascio per strada, presto o tardi saranno alterate, cambieranno e non saranno più le stesse. Le abbandono dietro di me, ne perdo il controllo e le lascio alla loro evoluzione…”.
Per continuare a raccontare le storie che come tracce si stratificano sulle superfici dei muri è necessario operare un’attenta ricognizione sul posto (anche per indicare il grado di accessibilità del bene da parte del pubblico), documentando, soprattutto attraverso fotografie, spesso diffuse sui social network, quegli interventi spontanei di “crossing”, che, sovrapponendosi all’opera, riscrivono il soggetto, a volte con azioni radicali di cancellazioni a volte instaurando come una forma di dialogo con il precedente intervento, creando degli improbabili e inspiegabili palinsesti iconici.
L’obiettivo della catalogazione è dunque quello, attraverso il dialogo tra l’artista e il pubblico, di raccontare le varie fasi della vita dell’opera la quale in questa “conversazione” diventa il terzo elemento attivo e autonomo.
È infatti l’oggetto artistico che interroga il fruitore, il cui apporto soggettivo è indispensabile per la “decodifica dei valori estetici, depositati (per strati) nell’opera”,come afferma Eugenio De Caro, un’indagine incentrato su un’impostazione fenomenologica sensoriale, che include anche i fattori psichici.
Per rendere inclusiva questa esperienza collettiva si potrebbe programmare una piattaforma web, sulla quale i contenuti possano essere “facilmente” consultati e condivisibili all’interno di una community virtuale, secondo i criteri di un’estetica sociale che nasce dal basso.
Così, grazie ad una strumentazione digitale sempre più sofisticata, è possibile immergersi nell’arte in assoluta autonomia, considerando anche che, secondo Ivan Bargna, “il dominio della realtà virtuale… non estingue la corporeità”, in quanto l’intento è quello di programmare interfacce interattive e multisensoriali capaci di sollecitare la creatività e l’immaginazione, riconquistando la centralità delle relazioni umane.
Al riguardo un interessante progetto accessibile per persone non vedenti, destinato alla fruizione di interventi di Street Art, dal titolo Manos a la pared, è stato organizzato nel luglio del 2018 nella città di Santiago in Cile. Si tratta della realizzazione di sei murales collocati in diversi isolati nel Barrio Bellas Artes y Lastarria, nella zona più turistica della città. L’intento era di creare un percorso ponendo tavole tattili in scala con iscrizioni in braille accanto ai murales e dando la possibilità di ascoltare le descrizioni delle opere con un sistema di audiodescrizione da scaricare su facebook; inoltre era previsto l’utilizzo dell’applicazione “Lazarillo” per permettere alle persone non vedenti di orientarsi nella città e poter in autonomia raggiungere i luoghi espositivi all’aperto.
Certamente il messaggio artistico affidato alla strada, purché conservi la sua autonomia e si collochi in quell’interstizio relazionale di libertà tra illegalità e forme istituzionali, può diventare un ottimo strumento di sensibilizzazione e d’integrazione sociale e culturale, come il murales di Mauro Sgarbi, realizzato nel 2016 su una parete del mercato comunale dell’Esquilino a Roma, in una zona abitata quasi esclusivamente da immigrati, in cui sia nell’immagine che nel titolo, “Diversità elemento di vita”, si consuma il concetto di inclusione e di accoglienza.