di Germana Barone, docente Università di Catania – Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali.
La valorizzazione e la fruizione delle collezioni museali, intese come Beni Culturali, rappresentano la costante mission di tutti gli stakeholders coinvolti nella gestione dei musei.
Oggi più che mai, risulta altrettanto importante rendere la fruizione museale agevole, partecipata e inclusiva, sviluppando soluzioni che possano restituire una visita immersiva ed accessibile a tutte le specificità di pubblico.
Ad esempio, un museo inclusivo nei confronti di un utente non vedente o ipovedente deve essere pensato con visite adeguate alla fruizione tattile. In quanto Beni Culturali, gli oggetti costituenti le collezioni museali, siano essi di natura storico-artistica o anche scientifica, vengono tutelati spesso con vincoli molto rigidi, che ne impediscono la possibilità di essere toccati, movimentati, addirittura fotografati. Ciò rende impossibile aprire alle persone con disabilità sensoriale di tipo visivo le porte del godimento museale e della condivisione delle conoscenze, ma anche delle emozioni e delle sensazioni che possono scaturire da una visita in museo. Questo gap comunicativo può essere risolto mediante l’uso di copie di opere d’arte o di qualsivoglia oggetto di interesse culturale.
Tuttavia l’esperienza sensoriale è in molti casi parziale in quanto manca la corretta percezione della natura dei materiali. Le caratteristiche delle tessiture di materiali diversi come il marmo, la pietra, la ceramica sono annullate dall’uso di materiali “anonimi” per le repliche come il gesso o le plastiche che non riescono a rendere l’esperienza tattile unica. Nasce quindi la necessità di utilizzare nuovi materiali che, da un lato rendano possibili e semplici da realizzare le copie delle opere e dall’altro permettano di riprodurre le caratteristiche delle superfici. Nel caso dei materiali lapidei sarebbe necessario l’uso di una “pietra liquida” che si consolidi come un cemento in uno stampo di qualsiasi forma e dimensione.
Diventa sempre più importante con questo obiettivo selezionare in modo ragionato i materiali con cui realizzare le copie.
Nel mondo contemporaneo è in costante crescita la ricerca di nuovi materiali che siano ecosostenibili e che promuovano l’economia circolare attraverso l’utilizzo di scarti naturali e/o industriali al fine di attuare il processo di Transizione Energetica promosso dalle politiche Comunitarie. In questo scenario rientrano i materiali ad attivazione alcalina, più comunemente noti con il termine “geopolimeri”, materiali inorganici che somigliano ai materiali lapidei naturali come le rocce, ed artificiali come le malte e le ceramiche.
I geopolimeri si formano grazie a un processo chimico che vede la miscelazione di una polvere alluminosilicatica ed una soluzione alcalina. A differenza dei materiali tradizionali, che spesso prevedono trattamenti termici con temperature fino a 1350°C, questi nuovi prodotti vengono realizzati a temperatura ambiente, senza l’utilizzo di forni, con il vantaggio di ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera.
Inoltre, è possibile utilizzare scarti naturali o scarti di produzione di processi industriali con una notevole riduzione di estrazione di materie prime naturali.
In base al campo di applicazione, è possibile ottenere materiali e manufatti con diverse prestazioni fisico-meccaniche, variare colore e tessitura. Si tratta infatti di materiali estremamente versatili che possono essere adatti ad essere impiegati in campi high-tech o di nicchia come il restauro, affermandosi come valide alternative ai materiali tradizionali, con cui rimangono compatibili sia dal punto di vista tecnico che estetico.
In questi anni, grazie alla direzione e la partecipazione al progetto PNR “Advanced green materials for Cultural Heritage”, non solo si è riusciti nella ricerca e sviluppo di materiali ad attivazione alcalina utilizzando diversi scarti naturali e industriali siciliani, quali ceneri vulcaniche dell’Etna e scarti ceramici, ma anche nell’applicazione all’interno di cantieri pilota di grande interesse storico artistico. Sono state sperimentate e applicate malte geopolimeriche per il ripristino di tessere musive distaccate, presso il Duomo di Monreale (PA) e per il restauro di mattoni degradati della muratura dell’Odéon di Catania. Sono stati inoltre realizzati dei mattoni in geopolimero e con questi è stato realizzato un prototipo di muretto a riproduzione dell’originale muratura dell’Odéon, e nello stesso sito un prototipo di un capitello in pietra lavica, sempre utilizzando i geopolimeri.
Alla luce di tali esperienze e considerando le grandi potenzialità di tali materiali è possibile immaginare il loro utilizzo anche in contesti più specifici che prevedono la riproduzione di manufatti di interesse museale che possono essere toccati con mano. Come detto, attualmente, i materiali che vengono comunemente utilizzati per tale scopo sono polimeri o resine che per natura non riescono a simulare la texture del materiale originale. Tale aspetto è facilmente superabile, invece, dai materiali ad attivazione alcalina. È possibile infatti, giocando con le componenti chimiche utilizzate e con il processo di formatura, ottenere prodotti con forme e superfici diverse, lisce, ruvide, porose, con fibre aggiunte, con aggregati tangibili.
Inoltre, la versatilità di questi materiali consente di ipotizzare la realizzazione delle riproduzioni museali con la stessa materia prima del manufatto originario, coinvolgendo emozionalmente il fruitore.
A tal proposito, è possibile riprodurre fedelmente reperti ceramici di interesse archeologico esposti in un museo, utilizzando ad esempio scarti ceramici provenienti dal settore manifatturiero; oppure epigrafi e statue marmoree, utilizzando precursori naturali come il metacaolino o le pomici. A questa caratteristica, laddove necessario si aggiunge la possibilità di modulare il colore attraverso l’utilizzo di miscele con più precursori per riprodurre ad esempio marmi policromi con venature.