di Stefano Zuffi, storico dell’arte, curatore Pinacoteca Civica Ancona.
Ho visitato la Pinacoteca di Ancona per la prima volta più di quarant’anni fa: all’epoca frequentavo l’Università Statale di Milano, e su consiglio del mio maestro Pierluigi De Vecchi ero venuto nelle Marche per inseguire in varie sedi una memorabile mostra lottesca curata da Pietro Zampetti. Nonostante l’occasione e la doverosa centrazione sul Cinquecento veneto-marchigiano, il quadro che mi ha colpito di più è stata la pala con santa Palazia di Guercino. Ho comprato una cartolina, che conservo tuttora, e che considero un po’ il … portafortuna che mi ha portato, tanto tempo dopo, a occuparmi proprio della Pinacoteca. Continuando a guardare quel capolavoro a cui sono tanto affezionato, e certamente anche grazie all’esperienza anconitana del rapporto con il Museo Omero, credo di aver finalmente capito perché mi colpisce sempre, infallibilmente: Guercino, arrivato al culmine della maturità e della carriera, forte di una vasta cultura internazionale, aveva capito che la sua pittura doveva cercare di spingersi al di là del solo senso della vista. Nel dipinto, infatti, la giovane e bella santa fa oscillare un turibolo d’argento, di spettacolare evidenza realistica.
Guercino olfattivo
Un lieve fumo d’incenso aleggia verso chi guarda, e grazie alla bravura di Guercino sembra che la sala del museo si riempia di profumo. E’ solo una suggestione, un rimando che evoca il senso dell’olfatto (ma confido, prima o poi, di riuscire a renderla una effettiva sensazione per i visitatori, utilizzando un emanatore di aromi), e che certamente integra e potenzia l’effetto sinestesico del dipinto.
D’altra parte, si tratta di una pala d’altare: nella sua condizione originaria, era immersa in un contesto fortemente multisensoriale: l’incenso “vero”, lo sfrigolìo e la luce fremente delle candele con il profumo della cera, il rintocco delle campane, l’eco delle preghiere e dei canti, perfino lo scricchiolio di un banco o il piacevole fresco di una balaustra di marmo… Tutte sensazioni che, ripeto, facevano parte integrante della realtà fisica per la quale la tela è stata concepita, e che sono andate perdute con la collocazione in un museo, inevitabilmente più asettica.
Rispetto a pochi decenni fa, i musei italiani hanno saputo modificare il loro orientamento: alla funzione di conservare e proteggere le opere d’arte, primariamente svolta fin quasi alla fine del XX secolo, si è affiancata quella, altrettanto doverosa, di accogliere i visitatori, considerando le loro esigenze non un’inutile seccatura ma un punto di riferimento e un parametro per valutare la qualità del museo. Ma non basta. Negli ultimi anni è costantemente cresciuto il numero di occasioni culturali definite “esperienziali” o “immersive”: non si tratta ovviamente di una novità, e senza tornare agli spettatori spaventati dall’arrivo della locomotiva sullo schermo dei fratelli Lumière, basta ricordare gli ingenui brividi dei “tunnel del terrore” nei Luna Park di un tempo.
Oltre la vista: profumi e suoni
Tuttavia, non c’è dubbio che la tradizionale offerta museale, affidata esclusivamente al senso della vista, stia rischiando di risultare sempre meno attraente. La forzata monosensorialità ricorda le severe prescrizioni pedagogiche di un tempo (“guardare e non toccare è una cosa da imparare!”), il visitatore si sente passivo, la noia è in agguato, la tentazione di compulsare il cellulare irresistibile, l’uscita una meta da raggiungere al più presto.
Sia chiaro: non si tratta di inventare pacchiani effetti speciali o attrazioni da baraccone. Fra i molti scopi di un museo d’arte c’è anche il piacevole dovere di educare il visitatore al rispetto, possibilmente anzi alla gratitudine nei confronti del patrimonio artistico. L’emozione offerta dal Museo Omero, che sinceramente credo vada davvero considerato il più originale vanto culturale di Ancona, ha già suggerito alcune nuove soluzioni: ad esempio, la Pinacoteca di Brera, a Milano, ha da poco messo a disposizione dei visitatori dei pannelli in cui i visitatori possono toccare esempi di stoffe del tutto simili a quelle raffigurate nei dipinti. È così possibile verificare con il tatto la consistenza diversa del velluto o del lampasso, del raso, della seta o della lana.
Podesti coinvolto da Rossini
Facevo prima l’esempio dell’incenso che aleggia nella Santa Palazia di Guercino; ma nella Pinacoteca Civica di Ancona ci sono altri casi favorevoli che -almeno a titolo sperimentale- potrebbero favorire situazioni polisensoriali, e offrire l’occasione per una visita più coinvolgente. Nelle sue Memorie, Francesco Podesti ricorda di essere stato in contatto con Gioacchino Rossini mentre stava dipingendo il Giuramento degli Anconitani, e cita esplicitamente il Guglielmo Tell: gli incomparabili ultimi tre minuti dell’opera (“Tutto cangia, il ciel s’abbella”) potrebbero fornire un contraltare sonoro perfetto alla grandiosa tela risorgimentale. Con le cautele del caso, si potrebbe apprezzare ancora più intensamente la natura dipinta da Crivelli nella sua Madonna assaporando uno spicchio di mela o magari anche un cetriolino. E sogno il momento in cui si potrà guardare la Pala Gozzi di Tiziano sentendo in lontananza lo sciabordio del mare, protagonista neanche troppo occulto del capolavoro.