di Roberto Marconi, critico letterario, educatore.
Fedele a se stesso e al suo canto Piersanti specie nelle opere recenti ci guida in indimenticabili cammini, già dai titoli “I luoghi persi” (1994 e rieditato nel 2022), “L’albero delle nebbie” (2008), “Nel folto dei sentieri” (2015), “Campi d’ostinato amore” (2020) ci prende per mano per abbandonarci tra le sue Cesane, a piedi, come scrive “chi non sa dove andare / meglio cammina”. Fare esperienza della natura (corredata da minuziosi bestiari, diversità botaniche, personaggi mitici), della storia (non c’è discorso con Umberto che non ci sia cronaca), dei cari (fra tanti il figlio: “perfetto e disegnato / che il” “male offende / ma non piega”), questa è la circostanza amata e che vuol trasmettere il poeta, da sempre indagatore d’aree topiche e cruciali figure ormai riconosciute da lettori attenti. Lui dipinge con le parole i luoghi trascorsi, non potrebbe essere altrimenti, giacché la memoria, quella ostinata, “nutre la giornata” ed è “tenace a dare un senso / ad ogni cosa”. Ogni volta il verso si fa presto a capo in un lungo canto, nell’insieme è una prosa molto poetica che compensa, nel respiro (un soffio per ogni riga), la sedimentazione delle esperienze e dall’altra parte la povertà dei luoghi di campagna s’arricchisce. Riversa con cura, quasi meticolosa, la sua scrittura nelle pagine, cercando di non far scappare situazioni sostanziali, dal momento che “un giorno non” è “come un altro della vita”. Non ha affatto fretta, tutt’altro, ritorna sui suoi passi, rallenta, a volte “il piede / lo costringe”, si ferma, riflette, va avanti e indietro nel ricordo (in quasi tutte le poesie) deve necessariamente fissare la durata, contrastare con le reminiscenze l’ansia di ciò che scorre, travolge e conduce all’oblio; i giorni più frenetici lasciano meno ricordi e lui trova il tempo per registrare le sue visioni. Piersanti ha una necessità, quasi ungarettiana, di datare ogni poesia non solo per una sorta di diario autobiografico, ma anche per rivelare come il tempo scorre e ciò che lascia sono pozzanghere di memoria: il mare della poesia fa restare a galla questo poeta e l’acqua sono come parole eterne. Ogni opera dell’autore ingaggia così un continuo ragionamento sul paesaggio che, fatalmente, incontra con quello umano e nel passaggio dalle pagine alle presentazioni pubbliche trova un vitale riscontro sostanziale. È la tenacia del vivere contro la fatica del vivere, questo è quello che alla fine contrassegna la sua arte poetica. Umberto Piersanti è indiscutibilmente tra i poeti contemporanei più importanti, i suoi “Luoghi persi” è il libro che entra di diritto nella storia della poesia italiana e per scrivere in poesia bisognerebbe leggerla quella prodotta nei secoli, ascoltare Umberto è in parte come aver letto il 900 non solo italiano.