di Gabriella Papini.
Un unico linguaggio equivalente per amare la Sardegna.
È forse il modo che più le sarebbe piaciuto per ricordarla. Sì, perché Grazia Deledda, negli ottant’anni dalla morte, è stata celebrata in molti luoghi: con i consueti convegni, con i recital di alcuni brani, con incontri sul suo ruolo di scrittrice, giornalista e, soprattutto, antesignana del ruolo della donna nella società e nella cultura. Unica donna italiana ad essere insignita del Premio Nobel per la letteratura nel 1926. Il progetto Grazia Deledda in esalettura, che ha fatto tappa all’inizio di giugno ad Ancona al Museo Omero, appare certamente tra i più centrati. Sei le differenti forme per disporre di un testo: in nero a stampa, in Braille, in e-book, in formato gestibile dalle sintesi vocali, in formato audio e in formato video, con traduzione in LIS (Lingua dei Segni Italiana). Il tutto in una sorta di diretta e in una quasi totale contemporanea di tutti questi “linguaggi o letture”. L’emozione è forte e ti avvicina in modo sorprendente all’amore, all’attenzione e alla bellezza del testo. Questa esperienza di comunicazione totale, iniziata nel 2016, avviata con l’UICI di Nuoro quale capofila (Unione regionale Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), viene oggi rappresentata attraverso la lettura pubblica di due novelle, tratte dai Racconti sardi: una letta in voce da una persona vedente, l’altra in braille in voce da una persona cieca; sempre affiancate dalla traduzione segnante in LIS. Si vuole così dimostrare che, “chiunque padroneggi uno strumento di acquisizione della cultura è in grado di rendere la lettura in modo perfettamente equivalente”. Con una certa timidezza (che in genere non mi è congeniale) ho assistito e seguito una splendida ed inaspettata serata. Non so spiegarmi, nemmeno a distanza di più di un mese, perché fossi mossa da così tanta curiosità, così come poi ne restassi affascinata e commossa. Da anni conosco le varie tipologie di lettura di un testo e la mia assidua frequentazione del Museo Omero mi consente di essere certa che esiste una filosofia portante che regge il tutto. E non da oggi. Ma entrare nella sala conferenze all’intero del Museo, tra quelle pareti in pietra, gettandomi tra un pubblico non vastissimo ma consistente e, soprattutto, attentissimo, mi ha colpito profondamente. Pensavo a lei, la piccola grande donna, alla sua vita difficile e travagliata, alla capacità di tramandarci non solo l’amore per la sua Sardegna, ma la forza e l’energia della sua produzione letteraria. In fondo, a parte il Nobel e un vecchio ma qualitativamente ottimo sceneggiato televisivo, non sono tantissimi gli italiani che hanno letto la Deledda. E questo riportarla alla ribalta in esalettura, mi è sembrato un giusto grazie ad una donna che ha riempito di significati, di valori, di passioni autentiche ogni suo gesto, ogni riga scritta, ogni passaggio, spesso tragico della sua esistenza. Improvvisamente ascoltando le due novelle, lette in nero da Filippina Farris e in braille da Gianna Corria e nella lingua dei segni da Roberta Ascani anche il ricordo del suo volto, si è trasformato, ammorbidito fino a mutare la consueta espressione vagamente corrucciata, in una sorta di sorriso di compiacimento. Si, la stavamo ascoltando, la stavamo amando, come è giusto amare chi ci ha dato tanto e che, forse, non è stata mai abbastanza ripagata. Un Nobel non basta per una persona che ha insegnato alle donne a non porsi mai limiti. Da quasi autodidatta a Nobel: per lei un percorso naturale!
La manifestazione, che ha registrato la collaborazione dell’UICI di Ancona, ha ottenuto riscontro e partecipazione, nonché la presenza del Presidente dell’UICI di Nuoro e del Regionale, rispettivamente Giovanni Marongiu e Pietro Manca, che hanno sottolineato le motivazioni della scelta di questa iniziativa culturale, dell’attenzione che hanno trovato nelle varie città.
I risultati positivi inducono certamente a proseguire su questa linea, per promuovere la diffusione delle varie e specifiche letture, considerando che la comunicazione è uno spazio enorme su cui ancora lavorare. Il Presidente della UICI di Nuoro, Marongiu, dichiara:
“L’ esalettura è strumento poderoso per testimoniare l’inclusione sociale attraverso la letteratura. Grazia Deledda con la bellezza delle sue Opere diventa così anche il veicolo con il quale ribadire che il braille e la LIS sono strumenti indispensabili per garantire accesso e diffusione della cultura”.
La Deledda, impropriamente definita autodidatta, era di fatto bilingue. Il sardo è di fatto una lingua e non un dialetto italiano. L’italiano è stata per anni una lingua straniera da apprendere. Tralasciando aneddoti, ed un’ampia letteratura critica, anche autorevole al riguardo, è evidente che tutta la sua produzione rivela, non solo nelle tematiche e nei personaggi, ma anche nella forma, nello stile, nell’incedere e nel ritmo, la matrice sarda. Un’operazione linguistica di tipo antropologico la sua: non una traduzione, ma un italiano con passaggi forti ed improvvisi, un percorso letterario coraggioso che ha percorso con fatica ed umiltà, fino a farle ottenere il Nobel, di cui è importante ricordare la motivazione: “Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”.
da “Racconti sardi”
Macchiette, capitolo V
Lontano, le nuvole salgono dal mare di madreperla sottilmente pennellato nell’estremo orizzonte, salgono lente sul cielo d’orpello del plenilunio, azzurre e diafane sul fondo bianco dell’infinito.
Sulle cime delle alte montagne rocciose la neve disegna un profilo iridato, fantasmagorie marmoree e miniature d’oro degne dei versi d’Heine, ma le querce annose fremono al vento di tramontana che sussurra tetre leggende e storie di sangue fischiando fra le gole dirupate e le grotte di granito. Il sentiero asprissimo attraversa tortuoso le rupi immani e i macigni neri che assumono fantastiche forme di torri gotiche rovinate e di dolmen coperti d’erba e di rubi, reso più pericoloso e pittoresco dalla luce della notte. Sotto il bosco, i raggi della luna piovono a fasci, come getti di diamanti, proiettando aurei arabeschi e damaschinature orientali sulle felci bionde ondulate dl vento attraverso le querce brune il cielo lunato ha un aspetto così incantato coi suoi gemmei splendori che richiama al pensiero i cieli impossibili delle novelle da fate; e i ciclamini, i verbaschi, l’usnea dei tronchi impregnano l’aria di un acuto profumo da foresta tropicale.
Seduto sotto una rupe, insensibile al vento che fischia nel limpido plenilunio, guarda le pecore pascolanti nella notte chiara, intento al loro tintinnio monotono e melanconico vibrante fra i burroni erbosi e le pietre muscose, fra le eriche selvagge e i tronchi divelti dalla procella. Il piccolo mandriano è brutto, il volto oscuro come l’albagio del suo ferraiolo, ma nei suoi occhi cuprei dal bianco azzurrino e l’iride piena di un languore profondo, splende un raggio pensoso che è tutta una rivelazione: forse il piccolo pastore è già poeta e nell’ interno della sua mente vergine e selvaggia come le montagne rocciose su cui scorrono i suoi giorni deserti gusta più che qualsiasi artista colto e fine la poesia ineffabile piena di voluttà sovrumane e spirituali; del silenzio azzurro dell’alta notte plenilunare.