di Aldo Grassini, Presidente del Museo tattile Statale Omero.
Il 26 marzo Giuliano ci ha lascito. E come si può restare sorpresi e sbigottiti per la scomparsa di un uomo che appena da due settimane aveva compiuto 93 anni? Ma Vangi era una di quelle persone di cui non puoi immaginare la mancanza nonostante la sua discrezione e il suo non voler mai prendersi la scena!
Giuliano Vangi era un grande artista ed un grande uomo e così restiamo sorpresi e sbigottiti e arriviamo perfino a negare alla natura il diritto di volersi riprendere quello splendido dono che a suo tempo aveva elargito a tutti noi.
Ma questo grande artista io vorrei ricordarlo soprattutto come un vero amico: un’amicizia non fatta di un’assidua frequentazione, ma di una vicinanza di spiriti e di sensibilità. Sì, lui era un grande, ma la sua grandezza acquistava una dimensione umana per il suo fare mite, affettuoso, generoso e gentile.
Ricordo la prima volta che ci è venuto a trovare al Museo Omero: dopo aver fatto un giro con Daniela, mia moglie, nella nostra galleria d’arte moderna e contemporanea, nella quale aveva visto alcune opere di importanti scultori, suoi contemporanei, ci ha detto con la semplicità, quasi il candore di un animo sincero: “Ma qui manco solo io!” e ha riparato immediatamente, promettendo di donarci una sua opera, ma poi ce ne ha donate due. Una, “Lui e lei” l’ha creata appositamente per noi, l’altra “La donna nel tubo”, un gesso del 1967, di straordinaria efficacia espressiva per rappresentare la costrizione, quasi l’incapsulamento in una società indifferente e spietata. Da questo gesso poi è stato ricavato un bellissimo bronzo che si trova oggi nel Museo a lui dedicato a Mishima in Giappone.
Vangi era un figurativo, ma per farsi strada in un’epoca in cui la parola “figurativo” suonava quasi come un’offesa alla fantasia di un artista, Vangi è riuscito a coniugare la classicità con una modernità stridente. Io me ne sono accorto la prima volta che ho avuto la fortuna di vedere una sua mostra alla Rotonda della Besana nel 2004: un nutrito numero di sculture in marmo e in bronzo, grandi, importanti e bellissime che denunciavano con inaudita violenza (imprevedibile in un uomo come Vangi) l’infinita crudeltà del mondo in cui viviamo.
Dopo qualche anno ho avuto l’occasione di visitare un’altra sua mostra al MACRO (2014) che nella prima sala proponeva ancora, come un pugno sullo stomaco, una società violenta e disumana, ma poi addolciva nella seconda sala la sua espressione di un dolore più intimo e contenuto in quelle figure femminili.
Non posso qui fare a meno di ricordare la mia visita al museo dedicato a Vangi in Giappone: 100 sculture inserite, come solo i Giapponesi sanno fare, in un meraviglioso giardino che fa da sfondo o meglio da riferimento contestuale alle opere di Vangi. Il continuo richiamo che io sono solito fare alla multisensorialità, lì si realizza in modo perfetto e le percezioni sensoriali, integrandosi e compenetrandosi, si trasformano in un’autentica esperienza estetica.
Nel frattempo ho avuto la fortuna di poter approfondire la nostra amicizia in occasione di incontri non frequenti, ma ricchi per me di preziosi stimoli culturali e umani. Giuliano ti insegnava a vivere con la saggezza e la sensibilità che sanno guardare alle cose del mondo con la distanza e, al tempo stesso, con la partecipazione che forse solo l’arte riesce a trasformare in autentica esperienza di vita.
Magnifico e modesto come sempre lo abbiamo ritrovato al MART di Rovereto nel 2022 nello splendore di alcune sue opere di straordinaria magnificenza e il suo muoversi tra esse col passo semplice di chi è abituato a considerarle soltanto come cose umane.
Indimenticabile sarà per me e per Daniela uno degli ultimi nostri incontri nella Piazzetta Mosca nel cuore di Pesaro, dove fa mostra di sé uno dei più splendidi complessi scultorei e, diciamo così, anche architettonici in cui l’arte e la vita riescono ad identificarsi l’una nell’altra. Era l’estate del 2022 e Giuliano ci ha regalato una serata di pura riflessione e di autentico godimento estetico con la sua parola pacata e stimolante, semplice e densissima per spiegarci il senso più profondo della sua estetica museologica: l’arte che è vita e trova il significato delle opere lì radunate nella gioia del viverle di persone comuni che si fermano su quella panchina, dei bambini che le scelgono come spazio per i loro giochi, e che diventano più o meno inconsapevolmente attori di una scena comprendente loro e le opere di Vangi. E quelle conversazioni e quella serata sono continuate in una godibilissima cena alla presenza della moglie Graziella e della famiglia Vangi, perfettamente in linea con la sua cordialità, con la sua semplicità pur sempre elevata al di sopra dello scontato e del banale. Un’affabile chiacchierata; Giuliano, sempre generoso e signorile, rinuncia a favore di Daniela all’unico piatto di cozze disponibile e ci parla dei suoi molti progetti dimenticando e facendoci dimenticare che si tratta di un uomo che già da tempo ha superato la barriera dei novant’anni.
Ecco perchè la sua scomparsa ci ha colti di sorpresa, quasi increduli che quell’energia e quella vitalità potessero lasciarci. E invece Giuliano se ne è andato, ma per nostra fortuna ci lascia il suo pensiero e le sue opere.
È questo il felice privilegio di ogni grande artista!