di Gianluca Federici, dottore commercialista specializzato in sostenibilità economia.
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L’Italia è un paese in default, salvata solo dall’Europa.
Non è una frase catastrofista, ma quello che qualsiasi economista affermerebbe confrontando natalità e debito pubblico.
In questo contesto il vecchio welfare state è obbligato ad anticipare la transizione a welfare di comunità, dove il pubblico viene supportato dal comparto privato.
Nonostante il 70% dei consumatori prediligano prodotti sostenibili, le donazioni abbiano superato i 6 miliardi di euro, i lasciti senza eredi raggiungeranno tra qualche anno la cifra di 8 miliardi di euro ed oltre la metà dei risparmiatori sia disponibile ad investire i propri risparmi (per complessivi 4000 miliardi circa) nello sviluppo civile e sociale del paese, mancano spesso progetti in grado di attirare i capitali.
Mentre prima le attività a movente ideale colpivano facilmente la sensibilità del cittadino ora, giustamente, viene richiesto di abbinare etica ad efficienza. Sono infatti frequenti i casi in cui donazioni o soldi pubblici siano stati impiegati in maniera poco accorta.
Come far divenire un ospedale pubblico, una scuola un modello di business sostenibile in grado di migliorare il suo impatto sociale?
Come convincere un libero cittadino a donare tempo e danaro ad un museo o sito archeologico?
Il fundraising esiste per questo, è infatti una disciplina economica nata per aiutare le attività senza scopo di lucro che solitamente operano nel sociale, ambiente, cultura, scuola, sport, sanità, religione e politica.
Il suo padre fondatore Henry Rosso, ha definito il fundrasing “la scienza della sostenibilità economica delle cause sociali”. In realtà Fundraising letteralmente significa aumento di capitale inteso sia economico che soprattutto umano. Questo non solo perché la firma, il bonifico, la partecipazione attiva sono realizzate dalla persona, ma principalmente perché l’azione donativa viene stimolata da un coinvolgimento umano profondo.
Quindi sembra scontato selezionare, comunicare e pianificare la realizzazione di validi progetti, ma spesso ci si dimentica di rendicontarli con precisione, penalizzando relazioni che potrebbero divenire partnership.
Attraverso gli strumenti idonei si possono ottenere risultati importanti: si può iniziare dal 2,5,8×1000 (una media di 20 euro a firma), per poi impegnarsi in campagne big donors, art bonus, associative, lasciti, grandi eventi, crowdfunding, social bond, sociale venture capital e soprattutto corporate fundraising cioè call to action rivolte alle aziende spesso desiderose di legarsi ad un interlocutore non profit serio.
Le tecniche impiegate permettono di ottimizzare le performance ma anche di creare rapporti duraturi con i donatori che cercano trasparenza, risultati reali, resoconti affidabili, ma a volte anche un minimo ritorno economico e di immagine.
In questo contesto il comparto culturale è terreno molto fertile per il fundraising.
Economia sostenibile
L’Italia come super potenza mondiale ha numeri da capogiro: più di 8.000 biblioteche, 4.500 musei, 1.800 teatri, 58 siti Unesco, un esercito di oltre 10mila dipendenti pubblici ed oltre 60mila onlus operanti nel settore. Questi dati presuppongono oneri di manutenzione e gestione molto alti.
Alla evidente problematica strutturale vanno sommati i cambiamenti tecnologici (digitalizzazione e AI) e socio-ambientali (17 obiettivi ESG) che obbligano ad ulteriori investimenti.
Come reperire le risorse e le partecipazioni necessarie per fornire la dovuta continuità a questa gestione?
Come convincere le varie “burocrazie culturali” ad effettuare un cambiamento graduale ma radicale?
Per dimostrare che il percorso è molto più semplice del previsto, possiamo intanto evidenziare alcune case history di chi il fundraising culturale in Italia lo sta utilizzando da anni.
Nel settore corporate ad esempio Diego Della Valle ha donato 25milioni di euro per il restauro di un’ala del Colosseo, ma solo perché ha trovato interlocutori e proposte adeguate.
Il Museo Palazzo Madama ha raccolto con una campagna di crowdfunding circa 100mila euro per riportare a Torino la collezione delle ceramiche dei D’Azeglio, grazie al suo ottimo database.
Tra gli interventi strutturati possiamo citare il MUST, Museo territorio Vimecartese (Vimercate nella provincia di Monza e della Brianza), dopo soli 2 anni dall’inizio del percorso di fundraising ha raggiunto i seguenti risultati. Ricavi da attività commerciale +50% rispetto al 2021.Fatturato affitto spazi per eventi + 53% (2 milioni di euro). Campagne fundraising dirette +111% (98.500 euro). Campagne fundraising tramite fondazione 2.092.000 euro (privati, imprese, fondazioni, enti pubblici).
Se poi vogliamo analizzare alcuni dati riferiti al 5×1000,unapiccola non profit Associazione Amici del Teatro è stata in grado di far passare le firme da 50 a 6.500, portando la raccolta da circa 1000 euro a 142.000 euro in pochi anni. Infine per quanto concerne un altro strumento previsto dalla legge, l’art bonus, il Comune di Perugia nel 2023 è riuscito ad effettuare 24 restauri senza gravare con un solo euro nel bilancio comunale.
Altrettanto significativi sono poi i casi in cui un polo culturale svolge una funzione di volano turistico valorizzando una location non dotata di particolare appeal (come Museo di Monza, Museo egizio di Benevento).
Si perché il fundraising professionale, produce risultati certi che ripagano subito l’investimento e permettono di migliorare immagine, incassi e database ma soprattutto cambiare la mentalità.
Lo Stato non sarà più in grado di garantire pensioni, sanità ed ovviamente neanche il sostentamento alla cultura. Quindi o si entra presto in questa mentalità come stanno facendo tante realtà oppure si può solo sperare di allungare l’agonia.
Ottimizzare la gestione del nostro patrimonio significa rispettare il ruolo della cultura, valorizzare la sua funzione sociale ed evidenziarne l’utilità mirando a far sopravvivere un asset fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del paese.
Il fundraising è lo strumento giusto che la governance deve impiegare per fornire etica al profit ed efficienza al non profit, perfezionando la sinergia tra i tre settori e producendo così l’auspicata sostenibilità economica.