Andrea Socrati, responsabile dei Progetti speciali del Museo Omero
Secondo le indagini di Marshall McLuhan, la storia dei sensi può essere raccontata a partire dalle tecnologie o dai media che di volta in volta hanno caratterizzato le diverse epoche in quanto, come afferma in un’intervista concessa a “Playboy” nel 1969, tutti i media, dall’alfabeto fonetico al computer, sono estensioni dell’essere umano che causano modificazioni profonde e durature alla sua natura e che trasformano il suo ambiente.
Nel mondo tribale, prosegue McLuan, i sensi del tatto, del gusto, dell’udito e dell’olfatto erano sviluppati, per ragioni molto pratiche, a un livello assai maggiore del senso della sola vista. L’alfabeto fonetico è piombato in quel mondo come una bomba, collocando la vista a capo della gerarchia dei sensi.
L’alfabetizzazione ha spinto l’uomo fuori dalla tribù, gli ha dato un occhio in cambio di un orecchio e ha sostituito la sua profonda interazione comunitaria con valori visivi lineari e con una coscienza frammentata.
La definitiva consacrazione della vista a senso dominante, avviene nel Rinascimento, con l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Il medium tipografico viene definito dallo studioso canadese come un medium caldo, dove l’ipertrofizzazione della vista genera l’individualismo, la non partecipazione, la settorializzazione. Le conseguenze, ben evidenziate dallo storico e critico d’arte Renato Barilli nel suo “Tra presenza e assenza”, si avvertono in ambiti diversi tra cui quello psicologico. La modernità, sempre ad avviso di McLuhan, non manca di lasciar tracce anche in sede di psicologia della personalità o del profondo; essa istituisce la coppia (non dialettica, ma anzi brutalmente oppositiva) tra normalità ed eccezione, razionalità e irrazionalismo, coscienza e inconscio. Allo stesso modo che la tipografia cristallizza le lingue discriminando un loro esercizio corretto da quello scorretto (sbagliato), così in ambito psicologico essa distingue i processi razionali da altri che non trovano posto e che quindi vanno respinti.
Ulteriore merito di McLuhan, ancora esaurientemente trattato da Renato Barilli in Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, è quello di aver posto in correlazione lo strato alto dell’arte e quello basso della tecnologia materiale. Si evidenzia così l’omologia tra la stampa a caratteri mobili, appartenente alla tecnologia materiale, e la prospettiva rinascimentale, teorizzata da Leon Battista Alberti nel 1435. Quest’ultima, ricorrendo anche agli studi e ai termini di Erwin Panofsky, può ben rappresentare la forma simbolica dell’epoca moderna.
Tra la tipografia e la prospettiva c’è, dunque, un evidente parallelismo, una corrispondenza funzionale che, ad esempio, si concretizza per entrambe nell’utilizzo di un supporto quadrangolare, ovvero il foglio per la prima e il quadro per la seconda o, ancora, nella presenza di elementi discreti, separati tra loro, come lo sono i caratteri per la stampa, al contrario della grafia continua manuale, e i punti, sui quali si basa la costruzione dello spazio geometrico.
Infine c’è il fatto che la lettura della pagina, della superficie piana e quadrangolare, necessita di una distanza standard, presuppone un punto di vista così come avviene nella piramide rovesciata della prospettiva rinascimentale.
L’età moderna, o Galassia Gutemberg, termina naturalmente con l’introduzione di una nuova tecnologia, quella elettrica, la quale, scrive McLuhan nel suo saggio sulla nascita dell’uomo tipografico del 1962, ha profonde conseguenze sul nostro normale modo di percepire e di agire, conseguenze che stanno rapidamente ricreando in noi i processi mentali degli uomini più primitivi. Con l’impiego dell’energia elettrica, un medium freddo, sembra ritornare anche quella forte correlazione tra tutti i sensi che era venuta meno nell’epoca moderna. Non più solo la vista, dunque, ma anche il tatto e l’udito. Questo sembra plausibile proprio per le caratteristiche della nuova tecnologia che è avvolgente, simultanea e può ben essere rappresentata a livello simbolico dalla sfera o, più semplicemente, dal circolo, che va a sostituire la linea retta simbolo dell’età inaugurata da Gutemberg. Con il circolo non c’è più un solo e unico punto di vista ma, al contrario, i punti di vista sono molteplici, il centro è ovunque.
Il discorso appena fatto non serve solo a legittimare un generale recupero della sensorialità e di una percezione sinestetica ma mette anche in evidenza un atteggiamento mentale di maggiore apertura, di maggior senso critico, dove trovano spazio e attenzione le eccezioni, le deviazioni dalla norma, le diversità. Il circolo, potremmo dire, favorisce l’incontro, e i molteplici punti di vista accettati favoriscono la comprensione e il rispetto delle ragioni dell’altro.
Secondo McLuhan, i cambiamenti dell’ambiente e le relative conseguenze vengono anticipatamente colti dagli artisti, mentre la società in generale, necessita di un periodo di transizione necessario a scrollarsi di dosso i retaggi del passato e ad avviare un rapporto più consapevole con i nuovi media.
L’artista – scrive McLuhan nel suo “Gli strumenti del comunicare” del 1964 – è colui che, in ogni campo, scientifico o umanistico, coglie le implicazioni delle sue azioni e del nuovo sapere nel suo tempo. È l’individuo dalla consapevolezza integrale. Cézanne è l’artista che sembra cogliere per primo questi mutamenti, colui che pone un limite alla fuga in profondità dettata dalla prospettiva rinascimentale, introducendo al posto della linearità, un ambiente sferoidale. Cézanne, afferma McLuhan nella “Galassia Gutemberg”, dipinge come se gli oggetti fossero in mano invece di essere soltanto visti.
Per oltre un secolo, a partire dalla cesura Cezanniana, l’arte ha prodotto un’infinità di soluzioni estetiche che privilegiano lo scambio costante tra tutti i sensi e il coinvolgimento attivo, fisico, tattile, del fruitore.
Ma, gli sviluppi dei media elettronici corrono alla velocità della luce e, dalla scomparsa di McLuhan nel 1980, la Galassia elettronica avvicenda velocemente i protagonisti. Il testimone lasciato dal pioniere Guglielmo Marconi viene raccolto da una serie di figure dall’ingegno digitale che danno vita al web e alle sue infinite possibilità: Robert Kahn, Tim Berners-Lee, Steve Jobs. Nel 1984 lo scrittore William Gibson, nel suo romanzo di fantascienza Neuromante, conia il termine cyberspazio, quanto mai divinatorio e appropriato rispetto allo spazio virtuale costruito oggi dal web, dove le parole d’ordine sono interconnettere, interfacciare, interagire.
Ma, è lecito domandarsi, in questo mondo virtuale, concettuale, smaterializzato, i sensi hanno ancora un ruolo?
Secondo Derrick de Kerckhove, sociologo di Internet, già allievo di Marshall McLuhan, docente universitario a Toronto e a Napoli, in un’intervista apparsa sul settimanale “Gdoweek” del 30 agosto 2010, l’interattività che caratterizza la partecipazione al cyberspazio realizza una nuova modalità di proiezione elettronica del sistema nervoso, l’estensione appunto della valutazione tattile. Tattilità e propriocezione rimandano all’interazione tra i sensi e quindi alla necessità di rimanere ancorati al corpo fisico, pur navigando in uno spazio immateriale. L’informatica, continua de Kerckhove, sta creando nuove forme biologiche e accadrà che il bit si trasformerà in atomo. Lo scambio tra l’analogico e il digitale è permanente, il dialogo tra il fisico e il virtuale è costante. Questo è un segno della coerenza del rapporto tra la realtà e il suo aumento. È un segno del futuro?
Forse, è proprio da questa ineludibilità del corpo e della fisicità che molti sforzi nel campo della ricerca sono volti a realizzare delle interfacce tattili, capaci di restituire, a volte anche aumentate, le sensazioni fisiche di situazioni ed oggetti virtualmente presenti nel cyberspazio.
In questo contesto ancora indefinito, è ancora una volta l’arte che si assume il compito di sondare il terreno e di aprire piste a nuove forme di investigazione e a nuove sperimentazioni. De Kerckhove constata come i sistemi interattivi e le interfacce che oggi costituiscono le frontiere dell’arte da lui definita vulcanica non sono altro che variazioni sul tema delle possibilità tattili, ottenute con mezzi elettronici.
Un esempio concreto sono le sperimentazioni dell’artista australiano Sterlac. Esse partono dal corpo inteso come un sistema operativo organico imprescindibile, il quale però risulta ormai obsoleto rispetto al nuovo ambiente in cui si trova immerso e quindi necessita di trasformazioni ed espansioni.
Così Sterlac, per estendere le sue possibilità percettive, si fa impiantare un terzo braccio robotizzato che va ad aggiungersi ai suoi arti naturali, che può essere comandato sia dai movimenti dei muscoli del suo corpo sia a distanza, attraverso internet.
Tre secoli fa Denis Diderot domandava al cieco di Puiseaux se non sarebbe stato contento di avere occhi per vedere; il cieco rispose che gli sarebbe piaciuto avere braccia più lunghe, in quanto le mani gli avrebbero fatto conoscere meglio degli occhi dei vedenti quello che avviene sulla luna.