Lella Mazzoli, direttore Istituto per la Formazione al Giornalismo Università di Urbino Carlo Bo
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Walter Benjamin, è un autore che mi piace, mi intriga tanto che ne “impongo” la lettura anche agli studenti del mio corso nella laurea in Informazione, media, pubblicità all’Universita di Urbino Carlo Bo. Soprattutto mi interessa il dibattito che è scaturito da quanto ha scritto a proposito dell’aura. Originalità, autenticità, hic et nunc. Concetti, tutti, che portano a definire la modernità, contrassegnata, per il nostro Autore, dal fatto che con l’avvento di alcuni strumenti (uno per tutti la fotografia) gli oggetti, in specie le opere d’arte, possono essere riproducibili in forme uguali, anche sovrapponibili all’originale. Queste opere, per certi versi formidabili, non possono, per Benjamin, possedere l’aura. A questo punto vien da chiedersi dove stia la differenza tra originale e copia.
Originale. Connotazione normalmente positiva che indica oggetto, cosa, ma anche pensiero unici ovvero mai uguali ad altri.
Copia. Nel nostro immaginario ha sovente una connotazione negativa. Brutto copiare a scuola, bruttissimo copiare le idee, o oggetti creati da altri. L’originalità viene difesa da copyright, brevetti, marchi depositati.
C’è però differenza fra copiare, o meglio fare copia alla luce del sole rispetto a carpire qualcosa per farlo proprio. Insomma ingannare.
Benjamin non parla di inganno, non è di quella copia che si preoccupa. Parla di qualcosa che può essere riprodotto in teoria enne volte. Parla di opere d’arte che solo se fatte da un autore e prodotte materialmente a partire da un’idea, da un pensiero, da una ispirazione proprio di quell’autore, possono avere una loro aura, data dalla loro unicità. Poi se qualcuno che possiede e sa usare gli strumenti per riprodurre quell’oggetto o quell’immagine lo fa, beh! nulla di male ma quelli non possederanno mai l’aura propria dell’originale, quel fascino che resta agganciato all’unicità della produzione a partire dall’idea dell’autore.
Sappiamo bene che, comunque, le copie sono esistite ancor prima dell’era moderna, ancor prima dell’avvento di quegli strumenti come la fotografia, il cinema, la fotoriproduzione di cui parla Benjamin. Si pensi, per tutti, al conio. Ma Benjamin nel parlare di aura vuole anche sottolineare il rapporto di relazione che è differente tra noi e l’originale rispetto a quello tra noi e una copia di quell’originale. Può esserci la stessa relazione tra noi e la Muta di Raffaello e tra noi e la copia fotografica della stessa opera? Probabilmente no perché cambiano i sentimenti, le percezioni. Cambia la narrazione che viene fatta di quella relazione. Stessa cosa per il rapporto con un attore che vediamo a teatro “de visu” rispetto al personaggio che seguiamo nel piccolo o grande schermo. Percezione, piani differenti di realtà, narrazioni diverse.
Poi oggi (inteso qualche anno fa!) tutto è cambiato. La comunicazione ha avuto una modificazione radicale con l’arrivo del web e della socialnetworking. Benjamin avrebbe certamente preso in considerazione i possibili livelli di partecipazione dal basso mai immaginati prima. Cambia la percezione del mondo, delle cose, degli oggetti d’arte, cambia la narrazione. Anche l’aura non ha più la stessa connotazione di originalità e di hic et nunc come descritta in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica ma ha un’altra prospettiva. La relazione con l’altro da me, non si differenzia solo perché l’altro è presente in carne e ossa rispetto a quando ci appare in uno schermo, o non si differenzia perché ci troviamo di fronte a un originale di un dipinto o alla sua riproduzione, peraltro sempre più sovrapponibile per la precisione della tecnologia. Sono soprattutto le relazioni sociali che si creano, anche quelle in rete, che determinano partecipazione ma anche originalità e hic et nunc. Dunque tanto è dato dalla relazione.
È la relazione bellezza! Che cambia con il cambiare dei contesti, dei frame ma che regola il nostro conoscere. Proviamo a immaginare (ma anche a vivere) come queste innovazioni che vanno dalla modernità (anche prima, come dicevo, con il conio ma anche con i caratteri mobili) alla contemporaneità, possano modificare la partecipazione, la conoscenza, la narrazione di coloro che non hanno la possibilità di usare tutti i cinque sensi. Possono, per esempio, i non vedenti capire forma e immagine di opere d’arte attraverso il tatto, i suoni, gli odori? Certo che sì. Se potessimo mettere a disposizione, – il riferimento è a qualcosa di conosciuto -, copie di statue antiche, moderne o contemporanee allo scopo di costruire un percorso conoscitivo differente rispetto a quello, per così dire tradizionale, questo percorso di conoscenza è copia dell’originale o è originale? Non contraddico Benjamin. Dico che la copia resta copia di un originale ma il percorso di conoscenza è originale e può permettere un viaggio unico, che in quanto tale ha la sua aura.
Solo una doverosa nota. Il percorso cui ho fatto riferimento è quello proposto dal museo Omero di Ancona (ce ne sono altri come ad esempio il museo Tolomeo di Bologna che propone altro ma con filosofie analoghe). Sono percorsi belli, creativi, coinvolgenti, partecipativi, originali per tutti coloro che li attraversano e non solo per i non vedenti.
È l’aura della conoscenza che non ha bisogno di un solo originale per garantire unicità e hic et nunc. Un’aura che sarebbe piaciuta anche a Walter Benjamin (almeno così mi piace pensare).