Valeria Bottalico, esperta di accessibilità museale e curatrice di percorsi tattili
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“La forma, in senso stretto, è il confine tra una superficie e un’altra: questa è la sua definizione esteriore. Siccome però tutto ciò che è esteriore racchiude […] in sé un’interiorità – più o meno palese –, ogni forma ha un contenuto interiore”, come scrive Wassily Kandinskij ne Lo Spirituale dell’arte.
Se prendiamo dei pezzetti di cartone e li vediamo o tocchiamo per la prima volta, non vedremmo che forme casuali. Ma se li muoviamo e assembliamo in modo diverso, finiremmo col riconoscere una sagoma di qualcosa a noi noto. Questo ci suggerisce quanto sia importante distinguere tra il sapere e il riconoscere. Dentro di noi possediamo delle forme che ci permettono di riconoscere oggetti anche senza saperlo e vederlo con gli occhi. Nella nostra mente, le forme sono catturate, recepite, interrogate, corrette e archiviate dietro l’esperienza quotidiana. Ne abbiamo, insomma, una visione mentale.
Questa esigenza di significato è presente non solo nel nostro guardare e toccare gli oggetti, ma in tutto ciò che percepiamo: la visione è qui metafora di tutte le immagini e di tutti i modi attraverso i quali noi capiamo, o cerchiamo di capire il mondo. La ricchezza sensoriale, l’educazione, la varietà e la ripetizione dell’esperienza permettono di individuare le caratteristiche comuni che contraddistinguono un oggetto.
Il primo atto cognitivo che compiamo consiste nell’individuazione della forma. La percezione del mondo avviene per mezzo di tutti i sensi, ma il tatto è quello maggiormente usato, anche in modo inconsapevole: esso, infatti, completa una sensazione visiva e uditiva, dà altre informazioni utili alla conoscenza di quanto ci circonda. Il linguaggio tattile è la prima forma di comunicazione del bambino, dunque di ciascuno di noi, è un linguaggio di amore e relazione. L’uomo utilizza primariamente le mani per fare tutto: soppesare, tastare, scrivere, digitare, modellare, accarezzare, comunicare, sfiorare, prendere con forza, abbracciare, conoscere, contare, catalogare, salutare, stringere, scoprire, colpire, perfino leggere.
L’esplorazione tattile consente di conoscere non solo gli oggetti ma anche le opere d’arte: se accompagnata da un’accurata descrizione verbale, aiuta a creare un’immagine mentale. La forma è l’elemento che fornisce più informazioni percettive, cognitive e simboliche perché definisce contorno, superficie, grandezza e composizione generale. L’esplorazione tattile presuppone due funzioni intellettive importanti: astrazione e memoria. La memoria tattile è diversa da quella visiva, giacché con la vista si coglie e si ricorda l’insieme, mentre con il tatto soltanto il particolare. Da una prima esplorazione rapida e sommaria, si passa a una fase successiva, più dettagliata per sommatoria di elementi.
Negli ultimi tempi i musei si stanno attrezzando per rendere accessibili, o meglio fruibili, i loro patrimoni. Il museo è il luogo dell’incontro e della fruizione del bene culturale destinato alla collettività, ogni individuo ha diritto ad accedere al Bene nelle migliori condizioni. Non esiste un visitatore ‘tipo’, ma molti tipi di visitatore, proprio perché ognuno ha caratteri di identità unici e diversi al contempo. L’accessibilità rappresenta il diritto di ogni cittadino di fruire del patrimonio culturale: essa riguarda tutto e non è data per sempre, ma si evolve e va rivista costantemente alla luce delle esperienze dei visitatori. Si compie con la sinergia di tutti, in primis grazie a una visione capace di innescare processi di conoscenza e partecipazione.
Ho studiato a fondo la questione relativa all’accessibilità dei patrimoni artistici anche, e soprattutto, grazie ai percorsi tattili da me progettati per alcuni importanti musei italiani (tra gli altri, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, la Fondazione Accademia Carrara di Bergamo, i Musei Civici di Bassano del Grappa, il Museo Archeologico di Milano in collaborazione con la società Aster, che eroga i servizi educativi). Per questa ragione ritengo che sia importantissimo selezionare primariamente cosa ovvero quale opera è possibile toccare, tenendo bene a mente alcuni criteri di carattere generale: lo stato di conservazione e il materiale; la collocazione, che possa garantire la piena accessibilità e un’agevole e sicura esplorazione tattile; la dimensione, per favorire la lettura dell’opera nella sua interezza, l’importanza per la narrazione delle collezioni del museo; la leggibilità al tatto.
L’esperienza in museo deve essere gratificante e piacevole. Essa deve permettere al visitatore di acquisire nuove competenze, invogliandolo ad approfondire e ritornare su quanto appreso. Di più, il museo deve consentire l’esplorazione diretta delle opere (o delle loro riproduzioni), garantire l’efficienza del proprio personale che deve essere correttamente formato e dedicato, prevedere un percorso differenziato per adulti e bambini, e dare la possibilità di partecipare ad attività laboratoriali. Una rappresentazione significativa al tatto, infatti, può essere una valida alternativa all’oggetto reale, tanto più efficace quanto più vicina alla realtà. E la riproduzione in rilievo di un oggetto per essere efficace deve essere chiara e con precisi livelli di lettura, che veicolano l’immagine dall’occhio alla mano.
In definitiva, è importante che l’accessibilità non sia relegata esclusivamente ai soli strumenti tattili o tecnologici. L’accessibilità deve prevedere attività che agevolino la visione, sia di natura ottica che aptica, affinché sia garantita una conoscenza non soltanto formale ma anche di carattere critico ed estetico. Insomma, vivere l’opera d’arte cognitivamente ed emotivamente per vivere una nuova esperienza di vita.