Verko: Frontone

Originala skulptaĵo

Originala

Aŭtoro
Paolo Annibali
Dato
2012-2014
Periodo
Contemporaneo
Dimensioj
120 cm in altezza, 550 cm in larghezza, 55 cm in profondità
Tekniko
modellatura a mano libera, pittura, patinatura
Materialo
terracotta
Ejo
Dudekajarcenta kaj nuntempa

Foto: Domenico Campanelli. Proprietà: Archivio Museo Tattile Statale Omero.

Description

“L’argilla, così apparentemente docile alle carezze delle dita, richiede profonda conoscenza degli spessori, dei ritiri…, pena un esito fallimentare. L’argilla non è solo l’arte del porre, ma anche della pressione, la costruzione viene anche dall’interno. Le sculture in terracotta sembrano prendere vita dalla cavità interiore”, Paolo Annibali.

Frontone è un’opera composta da cinque sculture femminili  in terracotta dipinta, realizzate tra il  2012 e il 2014 da Paolo Annibali. L’opera rappresenta cinque donne di dimensioni e posture diverse, collocate, come nei frontoni dei templi greci, una accanto all’altra.

Partendo da sinistra:

Ragazza che si trucca. Il corpo della ragazza, sinuoso, erotico, è disteso sul suo fianco sinistro. Il braccio del relativo lato poggia comodamente su una pila di tre cuscini, che cedono al peso. Il suo corpo sensuale è coperto da un morbido abito, che disegna pieghe voluttuose e nasconde i due giovani seni; la capigliatura è sciolta sulle spalle. La ragazza è raffigurata mentre compie un gesto apparentemente banale e tipicamente femminile: si sta truccando gli occhi, con un pennello (che tiene nella mano destra) intinto nel colore contenuto nel guscio di una conchiglia di mare, tenuta con le dita della mano sinistra. Il suo volto tradisce una espressione vuota, non concentrato su ciò che compie, mentre i suoi occhi sembrano fissare il vuoto.

Sibilla. Questa è una sibilla, ma non si conosce la provenienza – potrebbe essere la sibilla cumana o degli appennini. Compie un gesto familiare alle sibille, ossia quello di leggere nell’acqua contenuta in una scodella i segni divinatori e propiziatori. Solo che scorge il profilo del suo volto, osserva sé stessa, vede la sua immagine riflessa (volutamente prodotta plasticamente). La donna è seduta sopra un plinto a parallelepipedo, tiene una gamba avanzata e l’altra arretrata, il suo corpo è vestito di un lungo e morbido abito scollato, caro all’artista. Il volto non sembra tradire emozioni, forse apparentemente mosso da un debole accenno di stupore.

Tyche. Eretta, seduta su di un plinto a forma di roccia, sta la figura mitologica della Dea Tyche. Nella mitologia greca è la personificazione della fortuna – presso i romani si chiamava Dea Fortuna. La sua peculiarità era quella di tutelare e presiedere la prosperità delle città e degli stati. Divenne nel tempo tanto importante che, in età ellenistica, le sue raffigurazioni variavano di città in città -ognuna aveva la sua specifica versione iconica della dea- tanto da farle indossare una corona raffigurante le mura o le caratteristiche della città di appartenenza. Questa versione moderna non porta nessuna corona, ma un dolce e nobile sorriso che anima il suo volto, appagato, rasserenante, con gli occhi socchiusi. Il suo mento poggia sul dorso della mano sinistra, portata sopra il ginocchio della relativa gamba. L’altro braccio è portato sul fianco relativo, e la mano poggia delicatamente sulla caviglia del piede di sinistra – la gamba è portata, infatti, sopra l’altra, in una postura forse più maschile. Un lungo abito, dettagliato, cadenzato da pieghe larghe e morbide, incorona tutta la figura.

Veronica. Questa è un’altra citazione, stavolta dal mondo religioso. Si tratta di Santa Veronica, la pia donna che vedendo la Passione di Gesù che trasportava la croce e il suo volto sporco di sudore e sangue, lo deterse con un panno di lino, sul quale rimase l’impronta del viso di Gesù (velo della Veronica). A Santa Veronica è dedicata la Sesta Stazione della Via Crucis. Il suo nome non è citato nei Vangeli canonici, essendo una “tradizione” medioevale cristiana in merito al volto di Gesù, nata da una rilettura del nome originale greco, Berenice, di cui ne è la traduzione latina. La Veronica siede su di un plinto poligonale, con le gambe accavallate, e il dito indice della sua mano sinistra indica il velo intriso di sangue e sudore. Qui, Annibali traccia questa memoria tramite disegno a mano. Tuttavia, il volto della donna non tradisce un’emozione, uno stato d’animo evidente, ma un viso vuoto, quasi senza spessore, e i suoi occhi mirano il nulla.

La linea della fortuna. La bella donna raffigurata distesa a terra, con un bel corpo vestito da un abito scollato e lungo, plastico nelle pieghe, è una chiromante. La chiromanzia è l’arte di descrivere la personalità e / o prevedere il destino di un individuo attraverso lo studio del palmo della sua mano. Il suo gesto ne traccia l’identità: si sta tracciando o indicando la linea della fortuna per mezzo di una sottile  asta di legno, la linea che parte dalla base del dito anulare e termina al centro del palmo della mano. La testa è coperta da una capigliatura a caschetto, differente dalle altre presenti, e il suo bel volto sembra concentrato sull’atto, ma senza enfasi, senza espressioni dolenti o di meraviglia.