Allergia di Massimo Feretti per Luci del Novecento, la poesia
Pubblicato in Eventi il 5 Giugno 2006
Il sesto appuntamento con la rassegna "Luci del Novecento, la poesia", organizzata dal Museo Omero e curata dal poeta Francesco Scarabicchi, è per mercoledì 7 giugno alle ore 18,00.
La presentazione del critico letterario Massimo Gezzi e la voce dell'attrice Lucia Ferrati ci introdurranno alla raccolta poetica "Allergia" di Massimo Ferretti (Chiaravalle, 1935 - Jesi, 1974). Apprezzato in un primo tempo da Pasolini, che lo pubblica su "Officina" definendolo un "caso [...] preistorico, meglio che pregrammaticale", più avanti Ferretti si avvicina al Gruppo 63 e partecipa al convegno di Palermo, stringendo rapporti con Balestrini, Giuliani, Porta. Dopo un soggiorno di qualche anno a Roma, nel 1965 torna a Jesi e di scrivere, dedicandosi in un primo momento al commercio e poi lavorando come traduttore di romanzi e di saggi dall'inglese.
Così scrive Massimo Gezzi: "La poesia di Ferretti, dichiaratamente innamorata della metrica, ci resta come la testimonianza insieme sofferente ed entusiastica di una vita ai margini e di un'epoca precisa, quella vissuta dai marchigiani, i 'russi dell'Italia', tra guerra e immediato dopoguerra".
Massimo Gezzi è nato a Sant'Elpidio a Mare nel 1976. Vive tra Pavia e Berna, dove lavora presso la l'Istituto di Italiano dell'Universität Bern. Dottore di ricerca in Filologia Moderna, nel 2002 ha vinto il Premio Montale per la tesi di laurea sulla poesia di Bartolo Cattafi. Come poeta ha pubblicato Il mare a destra (Edizioni Atelier, Borgomanero 2004) ed è incluso in Nuovi poeti italiani, numero monografico della rivista "Nuova Corrente" (135, 2005) curato da Paolo Zublena; una seconda silloge di versi è in attesa di pubblicazione in F. Buffoni (a cura di), Nono quaderno italiano, Marcos y Marcos, Milano 2006.
E ho rimandato a domani
la certezza d'un nuovo dolore -
e sono salito sul tetto a prendere il sole.
Il sole incendiava il paese
e il cielo invadeva i cervelli
al sicuro dal bene e dal male
a passeggio per le strade
o sulle poltrone dei caffè
con l'aperitivo amaro come la maldicenza
necessaria per non morire di noia,
e nell'azzurro di un girovago aeroplano
bruciava i manifesti di "votate"
che i monelli aspettavano in terra
per festeggiarli in un fuoco d'indiani.
E il sole che ardeva un paese in calore
scioglieva dal peso d'ogni dolore
il ghiaccio maligno del rimorso:
e disteso sul tetto di lastre rosso,
il mio corpo senza più cuore
ha fischiato la vecchia canzone
di chi è felice d'essere al mondo.
da: La croce copiativa.