Vito D’Ambrosio, già magistrato e membro del CSM.
La Costituzione sul tema dell’ambiente offre scarni messaggi, a partire dall’articolo 9, il più breve tra i dodici dei Principi Fondamentali.
art. 9 [La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica./ Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione]
Da questo testo, insolitamente scarno, emergono alcune considerazioni: la prima, la più caratterizzante, è che i costituenti hanno voluto evitare, in ogni modo, che si ripetessero esperienze come quella del regime fascista, che aveva preteso di condizionare e piegare non solo lo sviluppo di cultura e ricerca, ma perfino il loro insegnamento.
In più, ed era una novità assoluta, ci si é fatti carico della tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, nozioni all’epoca ancora abbastanza approssimative.
Della prima stesura furono incaricati due relatori, il latinista Concetto Marchesi, comunista, e il giovane professorino Aldo Moro, democristiano. Al primo si deve addirittura la presenza dell’articolo nella versione definitiva della Costituzione, con recupero sullo schema provvisorio, che lo aveva addirittura cancellato. Resta, però, innegabile, una visione della cultura in un certo senso “utilitaristica”. In altri termini, della cultura ci si occupa più che per il suo valore intrinseco, per la sua diffusione e la sua libertà.
Fu forse (non esistono infatti verbali) la spinta di Calamandrei a re-introdurre la parola – cultura- che in una prima lettura era stata cancellata, in favore di quel concetto che poi dette origine al secondo comma (vedi una ricostruzione storica di tutte le vicende all’origine dell’intero articolo, nel commento scritto da Tomaso Montanari nella serie dedicata ai Principi Fondamentali -un volumetto per articolo- edita nel 2018 dell’editore Carocci). Calamandrei aveva chiaro il concetto che lo sviluppo della cultura avrebbe rafforzato la tenuta democratica della Repubblica (vedi ancora le riflessioni e la ricostruzione di Montanari), ma in realtà della sua visione non si trova traccia nel testo costituzionale, che indubbiamente, nel proclamare come compito della Repubblica quello di promuovere lo sviluppo della cultura, ne fa intuire il valore molto significativo, ma, appunto, è una intuizione (quasi) ovvia, non una esplicita affermazione.
Molto interessante, secondo me, la menzione della ricerca scientifica e tecnica, su un piano “diverso” da quello della cultura. A volerla dire tutta, in queste poche parole si potrebbe individuare un lontano effetto delle teorie crociane, dalla cui impostazione molto “umanistica” in materia si cercò di preservare la collocazione della scienza, bene diverso, ma il cui sviluppo comunque veniva ugualmente tutelato. Indubbiamente difficile la scelta del soggetto cui affidare la tutela e lo sviluppo, se lo Stato o le future regioni. In questo articolo si affida il ruolo principale allo Stato, ma già la convivenza con l’articolo 117 non si presentava facile, e si deve specialmente a Marchesi la difesa sentita dell’articolo, ancora designato come articolo 29; il problema fu ancor più complicato in seguito alla riforma dell’intero Titolo V della Costituzione, effettuata con la legge costituzionale del 2001, che pure in questo settore intrecciò, o meglio arruffò, una pasticciata distinzione di competenze.
Quanto al secondo comma, va notato che l’espressione testuale “la Repubblica tutela” è usato soltanto altre 4 volte in tutto il testo della Costituzione (agli articoli 6,32, 35 e 37, comma primo per entrambi; vedili riportati in MONTANARI, OP.CIT. p.50). Dopo una prima lunga stagione durante la quale all’intero articolo, e poi più specificamente al suo secondo comma, veniva attribuito un valore poco più che simbolico, in epoca successiva e più vicina a noi, sia gli studiosi, sia la giurisprudenza, hanno attribuito a questo principio una importanza crescente, che ha trovato una prima efficace conferma nel 2006, quando con la legge n. 152 si sono approvate norme generali in materia ambientale. Intanto anche in ambito europeo la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (Trattato di Lisbona, approvata nel 2007 ed entrata in vigore nel 2009), in una scarna previsione assicurava “cittadinanza” al concetto di sviluppo sostenibile, come principio per la tutela dell’ambiente [art. 37. Tutela dell’ambiente: un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile].
Va però ricordato che il patrimonio storico e artistico della Nazione, la cui tutela era stata già suggerita nella famosa lettera sul tema di Raffaello a Baldassarre Castiglione al Papa Leone X del 1519 (vedine brani in Montanari, op.cit., pp.53-54] è stato assai poco tutelato, visti gli autentici scempi che ne sono stati fatti con uno sviluppo urbanistico forsennato, dettato solo da intenti speculativi (su tutta la questione, con la tutela “sfumata” in valorizzazione, fino ad essere sostanzialmente messa in sordina con la pretesa di trasformare i beni culturali nel “petrolio” d’Italia, e sul leggero attuale miglioramento della situazione, rimando a Montanari, op.cit., spec. pp.53-58; più specificamente sul paesaggio, che dovrebbe formare una endiadi col patrimonio id., ivi, pp.59- fine, con una durissima critica nel cap.4°, intitolato, non a caso “Attualità e (non) attuazione dell’art.9.). Pure questo potrebbe diventare un capitolo del tema “Inattuazione della Costituzione” (sul quale si sono tenuti ad Ancona nel 2018, nel 75° compleanno della Carta, 9 incontri, con pubblicazione degli atti l’anno successivo).