Christian Greco, Direttore Museo Egizio Torino.
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Oggi ci troviamo immersi nella cosiddetta rivoluzione digitale che ha già profondamente trasformato sia il nostro approccio cognitivo, sia le conseguenti modalità di lavoro.
In ambito archeologico, la fotogrammetria e la modellazione tridimensionale mettono in grado gli archeologi di documentare l’intero processo di scavo, e di ricostruire contesti anche dopo la loro rimozione. Possiamo riprodurre un sarcofago con precisione submillimetrica registrando tutte le sue fasi di produzione e di riutilizzo.
La diagnostica per immagini, non invasiva, ci permette di scrutare all’interno di un vaso ancora sigillato e di sbendare virtualmente le mummie. Analisi puntuali danno oggi la possibilità agli studiosi di osservare le fibre di un papiro facilitando la ricomposizione dei documenti antichi.
La comunicazione digitale ci consente, inoltre, di creare ambienti di lavoro virtuali in cui studiosi di tutto il mondo possano mettersi in relazione e confrontare i loro dati.
Tutto questo facilita ed accelera il lavoro del filologo. Significa perciò che il ruolo dell’umanista sta diventando subalterno? Tutt’altro. I dati che ci vengono forniti, sempre più dettagliati e complessi, richiedono un livello di interpretazione ancora maggiore.
Lo scienziato e l’umanista devono dunque incrociare sempre più le rispettive conoscenze, per cercare di dipanare la complessità del mondo contemporaneo; un sostanziale incremento collaborativo che vada aldilà dei dogmatismi dei singoli saperi, la definizione di una semantica condivisa e lo sviluppo di un vero approccio multidisciplinare sono il solo metodo che abbiamo per affrontare le sfide del futuro.
Ci si interroga, quindi, su quale sarà il prossimo ruolo dei musei, se siano istituzioni destinate a scomparire, affogate dallo sviluppo esponenziale della scienza e della tecnologia, o se abbiano comunque un futuro. Dobbiamo ricordare, nel tentare di dare una risposta, che nel ripensare il ruolo che i musei possono avere nel futuro, il motivo precipuo per cui sono stati fondati è stato quello di custodire gli oggetti del passato, affinché questi potessero essere conservati e tramandati. Nonostante tutti i cambiamenti intervenuti nel tempo, è innegabile che il fulcro dell’esperienza museale continui a essere quello di trovarsi davanti a prodotti artistici, reperti archeologici o documenti della storia sociale.
I cambiamenti continueranno, ne verranno ancora e ancora. Si produrranno diverse soluzioni organizzative e architettoniche che possano rispondere alle esigenze contemporanee. Ci saranno certamente nuove forme di fruizione culturale.
Il nostro compito rimarrà sempre, però, quello di migliorare l’esperienza visiva, estetica e intellettuale di ogni visitatore, quando si trovi di fronte a un manufatto del passato, cercando di fornire tutte le informazioni necessarie per arricchirne la comprensione. Il futuro quindi dei musei è, come è sempre stato, la ricerca.
Forse, pensando a tutto il lavoro di ricerca e cura delle collezioni, si può capire il ruolo che la rivoluzione digitale riveste oggi nei musei; peraltro, un’immensa opera in questo senso è già avvenuta a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. I musei si sono dotati di sistemi di catalogazione digitale che permettessero non solo di recepire tutte le informazioni contenute negli inventari cartacei, ma offrissero, al contempo, la possibilità di mettere in relazione fra di loro diverse informazioni inerenti alla modalità di acquisizione, oltre a accertarne la provenienza, il materiale e la datazione, collegando il patrimonio iconografico, le fotografie i disegni e la bibliografia disponibile in relazione a ogni singolo reperto. Questa opera titanica ha permesso di effettuare attenti riscontri inventariali, di fotografare, disegnare e misurare con accuratezza migliaia di reperti contenuti nei magazzini, producendo quindi una più approfondita conoscenza del patrimonio conservato.
Nel giro di un ventennio, gli strumenti di inventariazione digitale sono diventati fondamentali in tutta la regolare attività di cura delle collezioni, e hanno fornito un nuovo, importante impulso alla ricerca. Nel tempo i musei si sono poi dotati di siti web che permettessero di condividere le informazioni disponibili sugli artefatti conservati, dando quindi la possibilità a interessati e studiosi di effettuare ricerche, raccogliere materiale, conoscere i risultati di recenti indagini diagnostiche e di interventi di restauro.
A partire dall’inizio del secolo, le nuove tecnologie sono entrate in maniera decisa anche negli spazi espositivi. Proiezioni, video, tavoli multimediali hanno cominciato a diffondersi in molteplici istituzioni, cercando di offrire modalità di fruizione che vedessero una partecipazione più attiva del pubblico e un maggiore coinvolgimento dei visitatori. A scopo esemplificativo, si può ricordare il progetto COMPASS (Collections Multimedia Public Access System) al British Museum, iniziato nel 1997. La finalità di tale programma era quello di migliorare l’esperienza dei visitatori, rendendo le collezioni più accessibili, fornendo una maggiore comprensione del contesto culturale dei reperti e stimolando la partecipazione attiva dei visitatori; dal 2002, piazzando anche alcune installazioni all’interno della sala di lettura del museo. I terminali avevano l’aspetto di volumi aperti con un’interfaccia che ricordava, anche nelle dimensioni, quelle di un libro. Il contenuto derivava parzialmente dal sistema di inventariazione digitale, ma i testi erano stati riscritti ad hoc per risultare più comprensibili al largo pubblico. Il tema dell’accessibilità è diventato, infatti, sempre più centrale nella comunicazione con il pubblico, e ha portato diversi musei, a partire appunto dal British, a creare un cosiddetto interpretation office, ovvero un dipartimento di mediatori culturali che fosse in grado di ‘tradurre’ i contenuti scientifici sviluppati dai curatori, in testi alla portata di tutti.
Negli ultimi vent’anni, si sono sviluppati innumerevoli progetti di ricerca dedicati a ricostituire i disiecta membra, ovvero corredi e parti di monumenti separati e conservati in diverse istituzioni a seguito di vicende legate al collezionismo e alla modalità di acquisizione. Si può ricordare, fra gli altri, il Digital Giza Project, condotto dall’università di Harvard, che ha raccolto materiale iconografico, documenti di archivio, informazioni, risultati di scavo e ha poi sviluppato modelli tridimensionali per assemblare digitalmente i monumenti di uno dei siti archeologici più importanti al mondo: le piramidi di Giza e le strutture funerarie che le circondavano.
Così, via via, si sono andate costituendo delle banche dati e si sono sviluppati dei siti web che rappresentano dei veri e propri musei virtuali. In questo modo si restituisce il contesto e si fa rivivere il reperto nella sua dimensione storica.
Ricomporre i disiecta membra, mettere a disposizione di tutti i risultati della ricerca, rendere accessibile il patrimonio iconografico ed archivistico permette anche di superare la dimensione proprietaria dell’oggetto e di creare il Museo digitale impossibile.
Quello che potremo raggiungere in un futuro ormai prossimo è non solo la ricomposizione del contesto originario, ma la possibilità di vivere un’esperienza immersiva che ci permetta di essere trasportati fisicamente in un paesaggio storico e di attraversarlo nella sua stratificazione, arrivando a comprenderlo come un vero e proprio palinsesto continuamente modificato dall’uomo, i cui reperti custoditi in museo costituiscono i frammenti di memoria che il tempo ha preservato.
Uno sguardo al domani ci viene fornito da interessanti esperimenti di innovazione digitale come, ad esempio, il TeamLab Borderless di Tokyo, un museo senza confini, senza un percorso di visita predefinito, costituito da opere d’arte digitali che comunicano le une con le altre, si influenzano reciprocamente e a volte si interconnettono superando i limiti fisici delle stanze in cui si trovano. Negli spazi espositivi si può compiere una passeggiata, esplorare, scoprire realtà diverse e creare legami con le altre. Le suggestioni fornite da questo laboratorio di innovazione digitale forniscono spunti di riflessione importanti per comprendere la direzione che la speculazione in ambito museologico potrebbe intraprendere nei prossimi anni.
Nel campo delle discipline umanistiche, innovazione tecnologica e tradizione millenaria di studi e approfondimenti tematici stanno collaborando in maniera sempre più sensibile, e sono tesi a produrre linee di ricerca che permettano di comprendere il rapporto fra materiale e immateriale, le possibilità di ricostruire contesti ormai perduti e sviluppare linee narrative complementari che consentano di approfondire in modo completo lo sviluppo diacronico di una determinata cultura e la sua influenza nel territorio di riferimento.
Grande attenzione viene prestata dai musei alla comunicazione con e per il pubblico; l’accessibilità è diventata uno dei pilastri di queste istituzioni, che cercano di radicarsi sempre più nel tessuto sociale in cui sono inserite. Si sta gradualmente modificando anche la visione relativa alle modalità di coinvolgimento dei visitatori, senza più identificare nella vendita di biglietti e nel conseguente incremento di presenze nelle sale l’indicatore di successo di un museo, concentrandosi piuttosto su quella che viene definita la partecipazione della comunità.
I nuovi mezzi di comunicazione rivestono un ruolo sempre maggiore non solo nel trasmettere dei contenuti, ma anche nello sviluppo di un dialogo costante con il pubblico e nella capacità di cogliere spunti di riflessione che possano, in qualche modo, rientrare nella programmazione culturale. Ci si interroga sul ruolo che i social media vanno via via acquisendo, e su come essi debbano comunque essere inseriti in un piano strategico culturale che abbia delle finalità e degli obbiettivi precisi.
Nel nuovo millennio, abbiamo assistito in modo preponderante a una sempre maggiore attenzione nei confronti del pubblico, sempre più interessato in modo proattivo all’attività sviluppata dalle istituzioni museali; si sono infatti cercate modalità di coinvolgimento che hanno contribuito a giungere alla definizione di museo compartecipativo.
Si desidera che i visitatori prendano parte in maniera propositiva alla programmazione, e si sono moltiplicati gli esperimenti di co-curatela.
Si è creato, a questo proposito, un dibattito acceso fra chi teme che i musei ‘sviliscano’ la loro offerta e ‘si pieghino’ alle esigenze del mercato, e chi invece ritiene che le istituzioni museali continuino a essere troppo autoreferenziali, inaccessibili e impenetrabili ai più.
Si è quindi cercato di attuare una contrapposizione fra quello che viene definito ‘museo di ricerca’, riservato prettamente a studiosi e cultori della materia, e il ‘museo aperto’, che offre invece un’attiva partecipazione del pubblico.
In realtà, nell’assolvere il suo compito di rendere sempre più nitide l’evoluzione del mondo e la storia delle persone che hanno creato gli oggetti che conserva, il Museo assolve al fondamentale compito di raffinare continuamente quel contatto tra uomini e esperienze di ogni tempo. Per fare questo, deve ricorrere alla sua più profonda e raffinata forma di ascolto, ovvero la ricerca.