Luca Violini, doppiatore, attore, regista.
Ascolta il vocale (mp3, 3,2MB)
– Successo e notorietà nascono da un lungo lavoro?
Quando e come ha capito che la voce era il suo spazio di azione ma anche il suo talento?
Io direi che tutti abbiamo una voce unica che ci caratterizza e tutte le voci sono belle se ben utilizzate. Io trent’anni fa ho iniziato a dedicarmi allo studio della mia voce che poi ho trasformato, con esercizi e lavoro quotidiano, in uno strumento vero e proprio.
Quando si inizia, si inizia dall’auto ascolto, che è fondamentale, ed al quale non siamo abituati, o meglio direi educati, e poi attraverso uno studio su se stessi e sulle proprie possibilità, si arriva a padroneggiare il proprio timbro vocale, le sfumature della propria voce e si diventa in grado di gestirla e di utilizzarla in maniera appropriata ed efficace.
Da giovanissimo ho capito l’importanza della voce, il valore aggiunto che può dare nella comunicazione interpersonale e questo vale non solo nel mio lavoro ma anche nella vita quotidiana.
– C’è stata una persona o una situazione che le hanno confermato le sue capacità naturali?
Allora di persone che mi hanno incoraggiato ad intraprendere l’indirizzo artistico… ce ne sono molte si! Ricordo in particolare Don Decio Cipolloni che quando mi ascoltò leggere – … ahimè … ero giovanissimo – mi spronò a proseguire nel perfezionamento dello studio delle tecniche che poi mi hanno portato proprio a fare della lettura non solo la mia passione, ma la mia professione. Per quanto invece riguarda il doppiaggio e quindi diciamo l’altra parte della mia vita, il lavoro, uno dei più grandi incoraggiamenti l’ho avuto dal grande Claudio Capone che io considero mio Maestro.
– La sua voce non confligge con la sua fisicità? Corpo e voce così come corpo e mente? Oppure no? E se sì, sono sempre d’accordo?
La mia voce naturale, quella di tutti i giorni, della mia vita privata, ritengo che sia ben in armonia con la mia fisicità. Nel lavoro riesco a plasmarla, a trasformarla, a metterla al servizio del personaggio che mi trovo ad interpretare. Quando immagino un personaggio io lo vedo nella mia mente, lo materializzo e di conseguenza mi viene anche la voce che gli si addice.
– Dire che la voce è più emozionante dell’immagine perché lascia spazio all’immaginazione, secondo lei è vero?
Da questo forse dipende il grande ritorno e il costante successo della radio rispetto ad altri media?
Beh! qui sfondiamo una porta aperta. Io, io ho basato l’impostazione del mio modo di fare teatro proprio su questo concetto. La voce, o meglio la narrazione in voce, come la intendo io naturalmente, riesce ad aprire le porte alla fantasia e all’immaginazione cosa che le arti visive non riescono a fare in quanto già definiscono un’ immagine precostituita.
La narrazione in voce invece fa in modo che ogni ascoltatore possa ricostruire, nella propria mente, la scena che si va narrando. “Chiudete gli occhi e aprite le porte alla fantasia….”, così esordisco sempre all’inizio dei miei spettacoli. Ecco io invito il mio pubblico alla concentrazione e all’ascolto.
Il mio è un teatro in cui si può non solo ascoltare, ma anche vedere, toccare, persino percepire con l’olfatto. Le emozioni che arrivano allo spettatore attivano inconsapevolmente tutti i sensi….
È così che con l’ascolto dei tre tempi tratti dall’Iliade, si può avvertire la sofferenza di Ettore, l’odore del suo sangue nel momento in cui Achille trafigge il suo collo, la nube di polvere che si è alza quando l’eroe stramazza a terra. Si riesce ad immaginare con assoluta precisione il volto dell’arrogante Agamennone, le bianche braccia di Andromaca, l’umiliazione e il pianto del povero re Priamo.
Del resto scriveva infatti Saint Exuperì: “l’essenziale è invisibile agli occhi”, un’intuizione che sembra definire appieno il mio modo di fare e concepire il teatro.
Con il passare del tempo mi rendo conto di quanto le persone abbiano bisogno di riscoprire l’immaginazione, il valore dell’immaginazione e credo che dipenda proprio da questo il grande successo della radio e perché no, dei miei spettacoli che ho definito, addirittura registrandone anche il marchio, appunto, spettacoli di RadioTeatro.
– Le sue più recenti esperienze sono particolarmente creative, come ad esempio il RadioTeatro, ed aprono nuove possibilità nell’ambito dello spettacolo culturale. Ha qualche progetto ancora segreto che può anticiparci?
Come ho detto prima, il RadioTeatro non è per me un’esperienza ma la modalità in cui ho deciso di scegliere di portare al pubblico le varie storie che propongo.
Il mio è un teatro portato all’essenzialità in cui non ci sono scenografie, costumi di scena, movimenti scenici, ma ci sono solamente io, il mio leggio, l’amplificazione, il mio microfono, le mia voce, musiche, i rumori… e una storia! A volte, in base agli spettacoli, oltre me in scena può esserci un musicista o un’altra attrice, come ad esempio nell’ultima produzione teatrale su Rino Gaetano. In due spettacoli ho invece deciso di inserire dei video, ma di contenuti onirici che rendono in ogni modo sempre libera la mente di immaginare e sognare. Io voglio che lo spettatore sia il vero protagonista della storia!